Wall Street in rosso gira le spalle a Trump. Ora teme i dazi cinesi

paolo mastrolilli
inviato a new york

Altra giornata di sofferenza a Wall Street, dopo il tonfo di mercoledì. Da una parte, infatti, sono arrivate notizie positive, come la frenata dell’inflazione, o il negoziato per un vertice tra i presidenti Trump e Xi al G20 di Buenos Aires in novembre, allo scopo di scongiurare la guerra commerciale. Dall’altra, però, restano le preoccupazioni per i rischi di un rallentamento dell’economia globale, che includono gli attacchi del capo della Casa Bianca alla Fed, e la volatilità generata dalla preoccupazione che la legge di bilancio italiana scateni una crisi dell’eurozona. La discussione fra gli analisti ora è se si tratta della correzione attesa da tempo, oppure dell’inizio del “bear market”, l’orso che potrebbe prospettare il rischio recessione. 

Wall Street ieri ha aperto al ribasso, seguendo la scia dei mercati asiatici ed europei, a loro volta in rosso dopo la perdita del 3,2% registrata a New York mercoledì. I titoli tecnologici si sono ripresi, mentre quelli del settore energia sono scesi, a causa della riduzione del prezzo del petrolio. A metà giornata sembrava che l’indice Dow Jones riuscisse a limitare i danni, ma nel pomeriggio è tornato a scendere, chiudendo a -2,13% a 25.049,65 punti. Il Nasdaq ha ceduto l’1,25% a 7.329,06 punti, mentre lo S&P 500 ha lasciato sul terreno il 2,06% a 2.728,35 punti.

Le notizie positive della giornata sono venute dall’inflazione, con l’aumento dei prezzi al dettaglio contenuto nel mese di settembre allo 0,1%, e dalla notizia pubblicata dal Wall Street Journal riguardo il possibile vertice fra i presidenti Trump e Xi a Buenos Aires. Il consigliere economico della Casa Bianca Kudlow ha ammesso che la trattativa è in corso, ma nell’amministrazione si scontrano due correnti. Quella di Kudlow e del segretario al Tesoro Mnuchin vorrebbe riunire i due presidenti in una stanza, ottenere da Pechino le concessioni minime che consentano di dichiarare vittoria, e chiudere uno scontro che rischia di danneggiare l’intera economia globale, e minaccia anche la pace. La corrente dei responsabili dei commerci, Lighthizer e Navarro, vorrebbe invece rafforzare i dazi, nella convinzione che la Cina sia prossima alla resa.

Le notizie negative quindi non sono scomparse. Mercoledì Trump aveva detto che «la Fed è impazzita», perché alzando i tassi allo scopo di prevenire l’inflazione e il surriscaldamento dell’economia, sta in realtà sabotando la crescita. Il mercato edilizio di New York, ad esempio, ha registrato una riduzione delle vendite del 39% a settembre. Ieri il capo della Casa Bianca ha ripetuto che «sono deluso dal presidente della Fed Powell, ma non ho intenzione di licenziarlo». Quindi Kudlow ha cercato di calmare i mercati, aggiungendo che Trump «non vuole minare l’indipendenza della banca centrale». Gli investitori pensano che la Federal Reserve continuerà a seguire il suo corso, e si adeguano, ad esempio rifugiandosi nei bond e nell’oro. Sullo fondo di questi problemi interni ci sono poi quelli internazionali, inclusa l’incertezza sull’Italia. Un insieme di fattori che deprimono i mercati, su cui comincia ad aleggiare lo spettro dell’orso, se non ancora quello della recessione.

LA STAMPA

 

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