Sentenza sul Jobs Act, ecco cosa cambia

di GABRIELLA COLARUSSO

“Questa sentenza è l’ultima spallata al Jobs Act. In pochi anni non è scomparso solo il renzismo ma anche una delle riforme principali fatte dal Pd”. Per Michele Tiraboschi, giuslavorista, docente e direttore del centro studi sul Lavoro, Adapt, la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l’articolo 3 del Jobs Act – per i giudici il criterio della sola anzianità di servizio per calcolare l’indennità dei lavoratori licenziati senza giusta causa è “contrario ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza” – non cancella una “semplice” norma, ma la filosofia di fondo di tutta la riforma del lavoro varata dal governo di Matteo Renzi.

Professore, cosa cambia adesso?
L’idea alla base del Jobs Act era fondamentalmente uno scambio: si rendevano più facili i licenziamenti in cambio di politiche attive del lavoro. Questa idea ora viene meno, dopo che – con la fine degli incentivi alle assunzioni – si è esaurita anche l’altra spinta della riforma che avrebbe dovuto favorire i contratti a tempi indeterminato. Le politiche del lavoro attive continuano a latitare.

La sentenza non ha effettivi retroattivi, ma sui contenziosi ancora aperti ci saranno delle novità?
Sarà il governo a dover intervenire. Il ministro Luigi Di Maio ha già annunciato entro fine anno un nuovo codice del lavoro, si parla di reintrodurre la cassa integrazione guadagni e altre misure che erano state eliminate, vedremo. Oggi quello che si può dire è che viene meno l’impianto del Jobs Act, che è stato costruito a tavolino ma in maniera incoerente rispetto alla modernità del lavoro.

Quali altri criteri, oltre all’anzianità di servizio, vengono utilizzati in altri Paesi per determinare un’indennità di licenziamento?
Normalmente si affida a un giudice la valutazione, l’anzianità è uno dei criteri ma poi ci sono altre questioni: quanto è stata grave la condotta del datore di lavoro, i carichi di famiglia del lavoratore.

Il decreto diginità del ministro Di Maio non ha modificato il criterio del calcolo, l’anzianità, ma solo la quantità di mensilità che possono essere corrisposte, alzandole da 4-24 a 6-36. Ora si tornerà a lunghi contenziosi davanti ai giudici?
Prima del Jobs Act era il giudice a determinare l’importo in base a diversi criteri. Il Jobs Act non prevedeva il ricorso al giudice perché introduceva un automatismo con l’obiettivo di dare certezza alle imprese: se assumi a tempo indeterminato sai già anche quanto ti potrebbe poi costare un eventuale licenziamento di quel lavoratore. Ora che anche questo tassello viene meno, il calcolo non potrà che essere affidato a un giudice.

REP.IT

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