“Sbagliato sequestrare i soldi della Lega. Vanno cercati solo i frutti del reato”

È la solita, eterna illusione del giustizialismo italiano: nuove leggi e pene più alte per combattere il mostro della corruzione.

Carlo Nordio allarga le braccia: «Il disegno di legge anticorrotti farà cilecca, anche se il governo lo sta presentando come la panacea di tutti i mali».

Cominciamo con i soldi della Lega: sequestro sacrosanto?

«Il punto chiave è la pertinenza e io ho moltissimi dubbi sul modo in cui l’hanno interpretata».

Tradotto?

«Io posso pure andare avanti con i sequestri, anche anni dopo, anche per equivalente come affermano i tecnici, purché io stia seguendo i soldi o i beni frutto di quel reato».

È quel che sostiene la procura di Genova.

«Un attimo, la pertinenza non può essere data solo dal destinatario, ovvero la Lega che, fra l’altro, è cambiata e ha un altro segretario. Troppo poco».

Ma allora che cosa caratterizza la pertinenza?

«Un conto sono i soldi frutto della truffa consumata a suo tempo, altra cosa sono, a mio parere, le donazioni degli imprenditori, dei politici, del 2 per mille che arrivano oggi. Queste non sono il frutto di quel reato. Che c’ entrano tali somme con i magheggi dell’era Belsito? Io non vedo alcun nesso, alcuna continuità. Oltretutto, in questo modo si suscita sconcerto nell’opinione pubblica che crede nella democrazia e nel suo funzionamento. Un minimo di cautela sul punto non guasterebbe».

Ma la Cassazione non ha ispirato la scelta del tribunale del riesame di Genova?

«La Cassazione ha scritto un verdetto ambiguo, sfuggente che non chiarisce bene il punto. Oggi, purtroppo il diritto è volatile, siamo in un’epoca in cui i giuristi possono dire tutto e il contrario di tutto. Ma resta, secondo me, il problema: gli oboli di oggi non dovrebbero essere aggrediti dalla magistratura sulla base dei comportamenti di ieri».

E qui si torna all’anticorruzione. Dov’è l’errore?

«Minacciare sfracelli serve a poco o niente. È già successo con altri interventi legislativi varati negli anni scorsi fra squilli di tromba e puntualmente rivelatisi inutili, o peggio, controproducenti. È vent’anni che lo ripeto, nel frattempo sono anche andato in pensione e ho lasciato la procura di Venezia, ma non cambia mai niente».

Nemmeno questa volta?

«Ci vogliono meno leggi, meno norme, poche regole chiare e precise. Invece siamo ai fuochi d’ artificio. Ai proclami mirabolanti».

Il pezzo forte del disegno di legge è il daspo per i corrotti. Sbagliato?

«No, inutile».

Per Di Maio rappresenta una svolta nella lotta al malaffare.

«Se il daspo mette fuori gioco un manager, l’azienda può sostituirlo in corsa e continuare tranquillamente a fare i propri affari».

E se invece colpisce l’azienda che ha violato la legge?

«Esiste già un’arma, a suo tempo venduta come risolutiva: la legge 231».

Ovvero?

«La responsabilità amministrativa delle aziende. Purtroppo la 231 ha funzionato poco e male. Il daspo ne è la brutta copia».

L’agente infiltrato?

«Inapplicabile. Si può infiltrare qualcuno in un’organizzazione criminale, in una rete formata da molti malfattori, non fra due persone, un corruttore e un corrotto».

Non sarà che lei è troppo pessimista?

«No, sono realista. Affastellano soluzioni, in un eterno cantiere, che non risolvono niente. E poi, mi lasci dire, il corrotto non va spaventato, ma disarmato. Invece il sindaco furbetto ha a disposizione un ventaglio strepitoso di leggi e può scegliere quale applicare, in base ai propri interessi, in un contesto confuso e contraddittorio, in cui c’è grande spazio per le peggiori manovre. Altro che nuovi strumenti, la foresta andrebbe disboscata, invece si piantano sempre nuovi alberi, si introducono nuovi reati, si alzano le pene e si coltiva l’idea ingenua che questo serva per fermare le mani rapaci degli amministratori e degli imprenditori senza scrupoli. Ci rivedremo alla prossima riforma mancata».

IL GIORNALE

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