Luigi Di Maio si responsabilizza: sì a una manovra di piccoli interventi. La linea rassicurante M5s, con lo zampino del Quirinale

Luigi Di Maio si ferma in un angolo. Interno giorno, Palazzo Chigi. È appena finito il primo degli innumerevoli vertici di maggioranza che costelleranno il cielo della legge di stabilità da qui a Natale. Si ferma a parlottare con Giuseppe Conte. Poi avverte i suoi: “Quando esco voglio fare alcune dichiarazioni”. Alle undici plana sui cronisti che lo attendono. E sparge parole che zavorrano le fluttuazioni di mercati e spread, riportandoli sotto la soglia di guardia: “La prossima manovra manterrà i conti in ordine ma sarà coraggiosa: rassicurerà i mercati, ma anche le famiglie che hanno bisogno, i cui figli non trovano lavoro. L’obiettivo è realizzare le misure economiche, non sfidare l’Europa sui conti”.

Una settimana fa i toni erano completamente diversi: “Non escludo che si posa violare il tetto del 3%”, diceva al Fatto quotidiano. E dire che nel governo, sin dai tempi non sospetti della campagna elettorale e della lunghissima crisi che ne è succeduta, è stato proprio il Movimento 5 stelle a intestarsi le posizioni meno incendiarie nei confronti dell’Europa. La frenata seguita alla brusca accelerazione d’agosto ha molteplici fattori. Il primo è sicuramente rintracciabile nella discreta moral suasion del Quirinale. Che della stabilità e solidità del sistema paese si è sempre fatto garante. E che ha attivato una serie di contatti con l’entourage del vicepremier e con lo stesso Di Maio per consigliare accortezza sul versante economico. “Dobbiamo renderci conto che una cosa è fare una dichiarazione quando sei all’opposizione – spiega uno degli uomini più vicini all’ex vicepresidente della Camera – tutt’altro impatto lo hanno se sei direttamente responsabile delle politiche del tuo paese”.

Messaggi recepiti. Ma nella decisione sono intervenuti anche una serie di altri fattori che la war room del capo politico del Movimento ha elaborato in queste ore. Che la stessa fonte riassume con una metafora: “Se vogliamo arrivare alla meta dobbiamo tenere il treno sui binari, magari anche rallentare in curva. Non ha senso farlo deragliare, perché se no non vai da nessuna parte, te ne devi tornare a casa”. Il ragionamento è semplice, e ha due corollari.

Anzitutto, dicono i vertici 5 stelle, non ha senso scassare il già fragile equilibrio di borse e spread, avventurarsi in un autunno infuocato rischiando che dietro ogni angolo si affacci la crisi di governo, e si configuri la situazione di una campagna elettorale dove si verrebbe additati come quelli che non ce l’hanno fatta, che hanno riportato il paese alle urne in una situazione esplosiva, “anche perché la retorica degli euroburocrati e dei poteri forti dà garanzie nel breve periodo, ma se la stressi per mesi entri in mare incognito”.

C’è poi un dato di realtà oggettivo che consiglia un ridimensionamento dei toni, figlio anche del vertice di oggi. Vale a dire che, conti alla mano, Lega e 5 stelle hanno capito che possono sì cercare di mettere sul piatto segnali forti, ma non possono avere tutto e subito quel che hanno immaginato nel contratto. Al punto che il mantra dell’entourage di Di Maio è significativo: “Crescita nella stabilità”. I due alleati si sono guardati in faccia, anche alla presenza di Giovanni Tria, ministro dell’Economia e attento a non far uscire la macchina di strada. E si sono divisi i campi d’azione. Il Carroccio punterà alla revisione della Fornero e all’introduzione di quota 100 nelle pensioni. I 5 stelle metteranno in cantiere il reddito di cittadinanza.

Si punta a renderlo da subito operativo per i 5 milioni di nuclei familiari sotto il livello di povertà. “Non una misura assistenziale”, assicurano dal ministero, ma il primo mattone da cui partire per attivare un meccanismo virtuoso di sostegno al reddito e reinserimento nel mercato del lavoro. La base già c’è. Perché il reddito d’inclusione varato da Paolo Gentiloni interessa due milioni di famiglie. E ha già coperture per poco meno di tre miliardi per il 2019. Certo, l’obiettivo di Di Maio è di cambiare le regole d’ingaggio. Ma i soldi già stanziati sono una buona base di partenza per poter pensare di aggiungerne altrettanti o poco più e dare da subito un segnale forte.

Intese di massima sono state raggiunte anche sulla flat tax “creativa” (ai 5 stelle l’ipotesi delle tre aliquote non dispiace affatto) e sulle pensioni d’oro: verranno toccate solo quelle superiori ai 5.000 euro, e solo per la parte non legata al sistema contributivo. Segnali di forte discontinuità con il passato, dunque, ma non rivoluzioni epocali. Anche perché i 5 stelle hanno intenzione di durare al governo. E l’unico modo per farlo è quello di far rientrare le magnifiche utopie negli abiti stretti della realpolitik. Andranno un po’ stretti, forse. Ma almeno non si rischia di rimanere d’improvviso nudi.

L’HUFFPOST

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