Ilva, c’è l’accordo: 10.700 assunzioni. L’intesa dopo 18 ore di trattativa

Un applauso liberatorio. Si è conclusa così la lunga maratona di 18 ore che ha portato all’accordo sull’Ilva: 10.700 assunzioni contro le 10.300 ipotizzate alle prime battute del tavolo al ministero dello Sviluppo economico, iniziato ieri pomeriggio poco dopo le 14 e andato avanti tutta la notte, con il vice premier Di Maio che ha fatto più volte capolino spostandosi dal suo ufficio alla sala riunioni. Fino al blitz finale a sostegno dei sindacati, che hanno chiesto l’ultimo sforzo ad ArcelorMittal: passare da 10.500 a 10.700 assunzioni, tutte subito. «L’ultimo miglio», lo ha chiamato Di Maio. E alle 8.11, dopo quasi 18 ore, è arrivato il sì definitivo, che adesso verrà formalizzato in mattinata. Con l’impegno, fondamentale, della multinazionale dell’acciaio ad assorbire tutti gli esuberi nel 2023, lasciando cadere l’iniziale condizione subito respinta dai sindacati: costo del lavoro invariato, attraverso soluzioni come la riduzione dell’orario. Insomma, niente «lavorare meno per lavorare tutti», hanno fatto subito capire i segretari generali di Fiom-Cgil, Francesca Re David, di Fim-Cisl, Marco Bentivogli e della Uilm, Rocco Palombella. E così sarà.

Il punto di partenza

Il tavolo era partito ieri pomeriggio poco dopo le 14: da una parte 13.522 posti di lavoro da tutelare, gli attuali dipendenti dell’Ilva. Dall’altra 10.300 posti di lavoro offerti (10.100 al 2018 e 200 entro il 2021) da ArcelorMittal. Nel mezzo 3.222 persone da collocare, anche con incentivi all’esodo che, però, al massimo ne potranno soddisfare 2.500, grazie a 250 milioni messi a disposizione dal ministero dello Sviluppo economico, per un incentivo pari a 100mila euro lordi pro capite. Questo il nodo principale che si è manifestato fin dalle prime battute sulla trattativa Ilva, perché comunque si tirasse la corda restavano fuori almeno 700 persone. Esuberi per i quali, in realtà, ArcelorMittal – che nel giugno 2017 ha vinto la gara per aggiudicarsi il più grande gruppo siderurgico italiano – si impegnava a formulare «una proposta di assunzione» – qualunque risultiasse alla fine il numero dei lavoratori rimasti fuori – «non prima del 23 agosto 2023», a patto che non avessero già «beneficiato di altre misure o opportunità», come l’incentivo all’esodo, e non avessero «già ricevuto una proposta di assunzione presso un’affiliata». Con una condizione che, però, i sindacati non accettavano: costi di lavoro invariati, attraverso soluzioni come la riduzione dell’orario.

Il termine del 7 settembre

Per questo ieri, il tavolo è andato avanti a oltranza, durante la notte, alla ricerca di una soluzione. Da trovarsi entro domani: il 7, infatti, è il termine che Di Maio si è dato per decidere se la gara che ha assegnato l’Ilva ad Am Investco (la cordata guidata da ArcelorMittal) possa ritenersi valida o meno. Di Maio lo ha ripetuto più volte in questi giorni: dall’esito del tavolo dipenderà la procedura di annullamento in autotutela perché, oltre al fatto che quella gara sia illegittima, come sembrerebbe aver evidenziato l’Avvocatura di Stato, deve esserci un interesse pubblico per annullarla. Adesso che dalla trattativa a oltranza sono emerse soluzioni migliori per la tutela dell’ambiente e dei posti di lavoro, il pubblico interesse sarà comunque salvaguardato e i nuovi proprietari dell’Ilva potranno fare il loro ingresso nel gruppo siderurgico, così come previsto dal contratto, il 15 settembre.

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