Salta il vertice sulle nomine della Cdp. Incontro riservato tra Conte e Tria

alessandro barbera
roma

Un vertice convocato dal premier e poi sconvocato fra l’imbarazzo generale. Matteo Salvini che dice platealmente di «non saperne nulla» mentre Luigi Di Maio alla Camera si scaglia riservatamente contro il ministro del Tesoro. E infine un incontro a quattr’occhi fra quest’ultimo e Giuseppe Conte a Palazzo Chigi,in cui si sarebbe parlato perfino di dimissioni. È solo l’antipasto dell’autunno che verrà: alla prima decisione rilevante vengono a galla le contraddizioni della maggioranza giallo-verde. I partiti della coalizione non sono due, sembra siano tre: la Lega, il Movimento Cinque Stelle, il partito di Giovanni Tria. Il lettore prenda il concetto di partito nel senso più lato del termine. Tria è il leader dell’ala più moderata e silenziosa della maggioranza, quella sensibile alle ragioni del Quirinale e delle istituzioni. Conte si trova tra due fuochi, parteggia un po’ per Tria, ma dà la sensazione di non riuscire a mediare alcunché.

Il premier cerca di mediare per abbassare la tensione con Lega e 5Stelle

Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ieri lo ha quasi ammesso pubblicamente: «Sulle nomine esiste una procedura, chiedete a chi la gestisce e leggete il Fatto quotidiano». La battuta si riferiva ad una lunga intervista in cui Conte ieri mattina spiegava come funzionerebbe l’interazione nel governo: «Il ministro competente fa le proposte, io ne parlo con i due vicepremier, poi decidiamo insieme. Se non c’è accordo sulla persona più competente, rinviamo per trovarne una migliore».

Il senso della battuta di Giorgetti si può tradurre così: caro Conte, evita gli assi con Tria, ricorda che il tuo ruolo è mediare fra lui e i capipartito. Sulla Cdp di rinvii se ne contano già tre. Con il passare dei giorni la partita nomine si è allargata: prima alla Rai, poi alle Ferrovie. Ma la decisione sulla Cassa è sempre più urgente: l’ultima data utile avrebbe dovuto essere il 30 giugno, da allora la più importante delle aziende pubbliche italiane, azionista di colossi come Eni, Poste, Telecom, Terna, Saipem e Italgas è di fatto senza guida.

 

Ormai è una guerra insensata di veti incrociati, ma per dovere di cronaca occorre spiegare attorno a quali nomi quei veti si sono consumati. Il primo è quello di Dario Scannapieco, ex dirigente del Tesoro e attualmente numero due della Banca europea per gli investimenti. Ben visto dal Quirinale, apprezzato da Mario Draghi e da Conte, sconta il fatto di non essere stato proposto né da Di Maio, né da Salvini. Scannapieco è stato proposto da Tria come amministratore delegato, i due maggiori azionisti del governo hanno risposto picche. La proposta di mediazione è stata allora quella di scegliere un direttore generale forte, interno alla struttura e meno sconosciuto ai due partiti. Il nome è quello di Fabrizio Palermo, oggi direttore finanziario e artefice della quotazione in Borsa di Fincantieri. La trattativa si è arenata attorno a quante deleghe attribuire all’uno o all’altro, ma nel frattempo Di Maio (non è chiaro se con il sostegno o meno di Salvini) ha messo sul tavolo il nome del capo di Hsbc Italia ed ex Goldman Sachs Marzio Perrelli. Sul terreno sono già caduti altri tre candidati: il capo di Deutsche Bank Italia Flavio Valeri, l’ex numero due di Intesa Sanpaolo Marcello Sala, il già presidente delle Poste Massimo Sarmi. Vista l’aria che tira, sin dal primo giorno il presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti ha blindato il suo candidato alla presidenza, che per statuto spetta alle Fondazioni: sarà l’ex Mps Massimo Tononi.

LA STAMPA

 

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