Dal vangelo secondo De Luca

Ci eravamo distratti. Sprofondati nei punti del contratto tra Totò e Salvino, ci eravamo colpevolmente scordati di De Luca. Il governatore della Campania è stato protagonista di quella che in gergo si definirebbe una caduta di stile, se non fosse che il suo stile è caduto da un pezzo e ancora non accenna a toccare il fondo. Ricevendo un gruppo di lavoratori napoletani che chiedevano conto della mancata assunzione, l’infaticabile distributore di denaro pubblico li ha istigati a prendersela con il sindaco de Magistris, «mentitore nato», e con i suoi consiglieri: «Voi li dovete stringere nella sala del Comune, li dovete sequestrare, gli dovete sputare in faccia». Don Savastano di Gomorra non sarebbe riuscito a essere più esauriente.
E adesso come la mettiamo con l’imbarbarimento della politica che proprio De Luca, ben prima del Financial Times, ha attribuito ai Cinque Stelle? Da settimane sono in corso sedute di autocoscienza tra giornalisti. Non sarà un po’ anche colpa dei nostri racconti disfattisti, se la gente ha preso a disprezzare a tal punto i politici di professione da non apparire troppo turbata dalla prospettiva di avere consegnato il potere a una combriccola di dilettanti? Nel bel mezzo della riflessione, irrompe la sputacchiera di De Luca. Allora non avevamo esagerato. È il Pd che esagera nello sfidare la pazienza dei suoi ultimi elettori, ostinandosi a non espellere dal partito i funamboli della politica spazzatura.

CORRIERE.IT

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