I barbari, i servi e i saggi

La lobby europea dice la sua, come ha sempre fatto, sugli affari interni italiani. E la sua gazzetta, il Financial Times, fa la sintesi: «Arrivano i barbari», riferendosi al nascente governo Cinquestelle-Lega.

Matteo Salvini non ci sta e ieri ha chiosato: «Meglio barbari che servi». Come non essere d’accordo, anche perché la parola «barbari» all’origine stava a indicare chi parlava una lingua diversa e che quindi alle orecchie dell’ascoltatore natio appariva come un balbuziente.

Ora, che Italia ed Europa parlino lingue diverse non è una novità: incomprensioni e diffidenze sono vecchie quanto l’euro. Qualsiasi governo, da quelli Berlusconi a quello di Renzi, ha dovuto fare i conti (non solo in senso metaforico) con i tecnocrati di Bruxelles, senza mai venirne davvero a capo. Anzi, il Cavaliere, apparentemente il più moderato di tutti, è caduto anche (ma forse soprattutto) per le sue impuntature contro l’egemonia egoista dell’asse franco-tedesco, quello per intenderci che ha innescato il complotto dello spread del 2011, oggi ammesso – sia pure per convenienza – financo dall’ultra grillino Di Battista.

L’esperienza deve quindi insegnare che nello scontro frontale, giusto o sbagliato che sia, il governo italiano è destinato a soccombere (anche Renzi ne sa qualcosa), stante la disparità di forze in campo. E che per tornare alla massima di Matteo Salvini, tra barbari e servi – all’epoca dei romani – in mezzo c’era il Senato, punto di mediazione di uomini di esperienza e buon senso.

Se Salvini, sciaguratamente con Di Maio, dovesse andare al governo, ci auguriamo continui a parlare una lingua diversa da quella dei tecnocrati, ma che non spinga la «barbarie», come accadde nell’antichità, fino a provocare la decadenza prima e la dissoluzione poi dell’Impero. In altre parole, non trasciniamo l’Italia in una guerra già persa in partenza con l’Europa intera ma lavoriamo per portare l’Europa dalla nostra parte.

Ps. Ieri Matteo Salvini si è lamentato pubblicamente del Giornale, troppo critico su questa trattativa. Brutto segno: ancora non è entrato nel Palazzo e già mostra sintomi di insofferenza tipici della casta. Vorrei tranquillizzarlo. Ci stiamo limitando a interpretare le paure e i dubbi di chi vuole bene a lui e alla Lega per le cattive compagnie che frequenta. Noi difendiamo il programma elettorale del centrodestra, che anche su suo suggerimento abbiamo votato e che non prevede il taglio delle pensioni, né d’oro né d’argento. Tutto il resto non ci interessa.

IL GIORNALE

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