Trump muove le navi da guerra. E Mosca schiera i missili in Siria

paolo mastrolilli giordano stabile
inviati a new york e beirut

Il presidente Trump ha annullato il viaggio programmato da tempo in Perù e Colombia, per seguire la crisi siriana. Un nuovo segnale del possibile attacco imminente per punire l’uso delle armi chimiche, visto che le 48 ore di tempo prese per decidere la risposta sono ormai scadute. Mentre il Pentagono affina i piani e sposta le unità, continua anche lo sforzo diplomatico per cercare di evitare lo scontro attraverso un’inchiesta indipendente.

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ieri ha discusso risoluzioni contrapposte di Stati Uniti e Russia. Entrambe finite sotto i colpi dei veti rivali. Washington è convinta che l’attacco chimico sia avvenuto, così come la Francia, e vuole un’indagine immediata per provarlo. Mosca risponde che l’attacco non è mai avvenuto, o è stato costruito ad arte dai ribelli, per convincere Trump a non ritirarsi. La Gran Bretagna ha detto che sta ancora valutando le prove. Il capo della Casa Bianca sembra deciso ad agire, ma l’incertezza riguarda la natura dell’intervento: un’azione punitiva limitata come quella dell’anno scorso, magari puntata sulla base T4 di Tiyas; oppure un’operazione che cambi la linea di Washington, impegnandola a far cadere Assad, franare Russia e Iran, e restare nel Paese per stabilizzarlo.

 

Il Pentagono ha iniziato a muovere le unità. Il cacciatorpediniere Donald Cook della classe Arleigh Burke è salpato da Cipro verso la Siria, con 60 missili Tomahawk a bordo. Un aereo spia Poseidon è decollato da Sigonella per pattugliare la regione. Da Norfolk, in Virginia, la portaerei Truman è partita per il Medio Oriente: non arriverà in tempo per un eventuale raid immediato, ma potrebbe partecipare ad operazioni prolungate.

 

Tutte le forze armate russe nella regione, in particolare quelle delle difese anti-aeree, sono state portate in assetto di guerra. Damasco e Mosca temono attacchi non soltanto sulle basi militari, ma anche sui centri di comando nella capitale. Mosca potrebbe usare per la prima volta, ha fatto capire, le batterie che ha portato in Siria a partire dal 2015. Il capo di stato maggiore Valery Gerasimov ha avvertito che anche «le basi di lancio» dei missili nemici potrebbero finire nel mirino. Ieri jet russi hanno sorvolato a bassa quota il cacciatorpediniere Donald Cook e la fregata francese Aquitaine, nelle acque fra Cipro, il Libano e la Siria. Anche l’Iran sta mobilitando i suoi uomini e a Damasco è arrivato Ali Akbar Velayati, il consigliere della Guida suprema Ali Khamenei. Ma l’elemento più preoccupante è l’innalzamento del livello di allerta della flotta russa nel Mar Nero, pronta a rispondere all’attacco «entro 24 ore». La flotta dispone di un incrociatore, 5 fregate e un cacciatorpediniere dotati dei missili Kalibr, l’equivalente del Tomahawk americano.

 

Per evitare di essere bersagliati come il 7 aprile del 2017, i siriani hanno spostato la maggior parte dei loro jet ancora efficienti dalle basi di Al-Shayrat, Al-Seen, Al-Dumair, situate nel centro della Siria, verso Al-Nayrab, a dieci chilometri a Sud di Aleppo, e Mezzeh, alla periferia sudoccidentale di Damasco, perché meglio protette. L’aviazione siriana dispone ancora di un centinaio di Mig-23, Mig-29, Su-24, Su-25. I russi hanno in Siria una cinquantina di molto più moderni Su-30, Su-34 e Su-35, nella base di Khmeimim, vicino a Lattakia. Attorno a Khmeimim e a Tartus sono schierate almeno cinque batterie di S-400, il sistema anti-aereo più potente a disposizione di Mosca, con 8 lanciatori ciascuno. Altrettante batterie di S-300 sono schierate attorno agli aeroporti militari di Damasco, vicino alle sedi della Sicurezza generale e al palazzo presidenziale, e ad Al-Safira, ad Aleppo.

 

Il dispositivo è completato da batterie a medio raggio Pantsir S-1. Ce ne sarebbero in Siria ormai una quarantina, più quelle portate dai Pasdaran iraniani a protezione delle loro installazioni, e che avrebbero intercettato domenica scorsa cinque degli 8 missili lanciati da Israele sulla loro base di droni vicino a Palmira. Nell’attacco sono morti sette militari iraniani, compreso il comandante, e ieri Velayati ha detto che «questo crimine non rimarrà impunito». Il ministro della Difesa israeliana Avigdor Lieberman gli ha risposto che Israele «impedirà a ogni costo» l’ingerenza iraniana in Siria. L’esercito ha schierato il sistema di difesa Iron Dome sul Golan. Gli iraniani, anche se a un secondo livello rispetto ai russi, fanno parte integrante del dispositivo militare siriano. Il braccio destro di Khamenei è arrivato a serrare i ranghi per quella che si annuncia la battaglia decisiva per mantenere la Siria nel campo russo-iraniano, mentre i russi sembrano ancora prendere tempo e ieri hanno accettato di aprire il sito del presunto attacco chimico, a Douma, agli ispettori dell’Onu. Gli specialisti dell’Opac saranno sul posto «molto presto».

LA STAMPA

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