Gentiloni tentenna ma poi si allinea. Salvini: “Io contrario”

francesca schianchi
roma

Mancano pochi minuti alle tre del pomeriggio quando il premier in carica per gli affari correnti, Paolo Gentiloni, alza il telefono. Si fa passare una dopo l’altra quattro persone: il leader della Lega, Matteo Salvini; quello del M5S, Luigi Di Maio; il reggente del Pd, Maurizio Martina; il consigliere più vicino a Berlusconi, Gianni Letta. Nello stesso tempo, il ministro Alfano sta avvisando Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Pietro Grasso di LeU. A tutti viene anticipato quello che, di lì a poco, sarà formalizzato dalla Farnesina, in contemporanea con altri sedici Paesi Ue: anche l’Italia sta per espellere due diplomatici russi. Una decisione presa da Palazzo Chigi senza entusiasmo, ma necessaria per rimanere allineati alla posizione europea.

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È stato infatti giovedì scorso, al Consiglio europeo, che si è discusso della crisi fra Russia e Londra e di come intervenire a fianco degli alleati inglesi. Varie le sfumature delle posizioni, dai Paesi dell’Est che temono da sempre la vicina Mosca e vorrebbero reazioni severe, a Merkel e Macron che spingono per una risposta netta, fino all’Italia che, per bocca di Gentiloni, esprime cautela: chiara la solidarietà ai britannici, ma da esprimere con misure non troppo pesanti, in linea con il posizionamento da sempre dialogante di Roma.

Concluso il vertice belga con la decisione di richiamare l’ambasciatore Ue a Mosca e aderire su base volontaria alle sanzioni – 17 Stati si dicono disponibili – è nel weekend appena trascorso, mentre in Italia l’attenzione è tutta per l’insediamento del Parlamento, che le cancellerie di mezza Europa concordano giorno – ieri – e ora – le 15 – del via all’intervento, incluse le parole con cui comunicarlo. Così, da Francia, Germania e Polonia che mandano via quattro diplomatici a testa, a Svezia e Ungheria che ne espellono uno, passando per Italia, Spagna, Danimarca e Paesi Bassi che ne allontanano due, il segnale a Mosca è lanciato. Ne resta fuori l’Austria, dichiarandosi «neutrale».

 

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La reazione russa è prevedibile: «Risponderemo». Una minaccia che gli ambienti diplomatici prendono molto sul serio, confidando il timore di una escalation: una paura che forse anima Paesi piccoli come Cipro e Malta quando scelgono, almeno per ora, di non fare nulla, sapendo bene che per le loro piccole rappresentanze a Mosca una rappresaglia potrebbe significare chiudere la sede. Ma il rischio escalation potrebbe presentarsi come un bel problema all’orizzonte anche in Italia, per le forze politiche che stanno lavorando per insediarsi a Palazzo Chigi, quelle che, da sempre, sono le più vicine alla Russia. Non a caso, la Meloni, che nei giorni scorsi si è congratulata pubblicamente con Putin per la rielezione, ha definito «inaccettabile» la decisione, «gli ultimi colpi di coda di un governo asservito alla volontà di Stati esteri». Posizione simile a Salvini, che l’ha esposta anche al telefono a Gentiloni: «Isolare e boicottare la Russia, rinnovare le sanzioni economiche ed espellerne i diplomatici non risolve i problemi, anzi li aggrava», perché «invece che riannodare i fili del dialogo», denuncia, «il governo italiano subisce la richiesta che arriva da altri», motivo per cui lui, dice, non avrebbe «fatto una scelta del genere». Silenti i Cinque stelle, decidono di evitare ogni commento, pur essendo anche loro tra le forze che hanno sempre avuto un atteggiamento amichevole verso Mosca e critico verso la Ue.

 

Ma proprio per questo, qualcuno, alla Farnesina, pensa invece che Gentiloni, prendendosi la responsabilità di espellere i diplomatici, abbia in fondo fatto un favore a centrodestra e M5S. Abbia compiuto un atto probabilmente inevitabile, considerata la nostra collocazione di alleanze, evitando a loro di farsene carico. Gli abbia permesso di sottrarsi a una grana, ma forse solo per ora: è alto il rischio che la rappresaglia russa alzi ancora la tensione, imponendo al governo che verrà una scelta di campo tra l’Unione europea che marcia compatta e la Russia a cui i vincitori avrebbero voluto togliere le sanzioni economiche determinate dalla crisi Ucraina, altro che aggiungere altre punizioni. E forse influisca anche sulle scelte del Quirinale, nel momento in cui fosse necessario individuare una figura capace di mediare tra le parti in gioco. Perché una tensione così alta tra i due blocchi non si vedeva da tempo. E, fa sapere il presidente del Consiglio europeo Tusk, altre espulsioni non sono escluse nei prossimi giorni.

LA STAMPA

 

 

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