Gentiloni: «C’è bisogno di continuità». E su Ue, lavoro e sinistra si smarca da Renzi

Placare, ricucire, rassicurare. E convincere gli italiani a investire, il 4 marzo, sul valore della continuità. Paolo Gentiloni va in tv e spiega che il soprannome romanesco «er moviola», dovuto a una leadership non proprio dinamica, «non è una caratteristica fisica, ma un disegno politico», costruito declinando parole chiave come serenità, umiltà, stabilità. Il premier a Porta a porta ammette che l’apprezzamento «di persone così importanti come il presidente emerito Napolitano» gli abbia fatto piacere. Ma per quanto lusingato dagli endorsement, ricorda che il governo che verrà non può prescindere dal voto degli italiani: «Non lo considererei superfluo, non pensiamo che i giochi siano fatti». E poi, ricordando che il suo compito è traghettare il Paese alle elezioni, si concede una nota personale: «Se arriviamo alla fine della legislatura in maniera ordinata, porto mia moglie in un ristorante di pesce ad Anzio».È un premier più «piacione» del solito quello che, dal salotto tv di Bruno Vespa, prova a stoppare il «gioco Gentiloni contro Renzi che impazza alla grande», ma anche nel vocabolario si smarca dal segretario del Pd. Nel 2014, appena arrivato a Palazzo Chigi, l’ex sindaco di Firenze annunciò via Twitter «andremo in Europa e batteremo i pugni sul tavolo». Affermazione che Gentiloni, anni e fiumi di inchiostro dopo, s’incarica di rettificare: «Quel che fa male all’Italia è uno strano mix tra la retorica del battere i pugni raccontata a uso dei media e poi magari in Europa nessuno ti si fila, magari c’hai anche problemi con le lingue…».

Tra lui e Renzi invece, nessun problema? «Andiamo d’accordo, non litighiamo e lavoriamo insieme. Dal punto di vista politico le differenze non sono rilevanti, il fatto che siamo diversi è persino una risorsa per il centrosinistra e per il Pd». Eppure tanto irrilevanti quelle differenze non sono. Se il segretario nel programma rivendica un milione di posti di lavoro, Gentiloni definisce «preoccupante» e «problematica» la qualità di un’occupazione fatta anche di «lavoretti da quattro euro l’ora». Divergenze non da poco anche sul dialogo con i fuoriusciti, che Renzi ha sempre escluso e che Gentiloni invece auspica. Potrà esserci un riavvicinamento tra Pd e Leu? «Spero di sì, alcuni dirigenti li considero parte del centrosinistra». Però la smettano di «cavalcare posizioni estremistiche».

Sulle larghe intese, si muove con cautela. Il consiglio agli elettori è «rafforzare il pilastro della coerenza», cioè Pd e centrosinistra. Quanto alla possibilità di formare un governo si dice sicuro che «troveremo il modo, grazie alla guida del presidente della Repubblica». Se e quanto speri di essere della partita Gentiloni non lo dice, però lo fa capire: «Gli italiani vogliono la continuità…». Avverte che l’Italia «ha bisogno di un governo coerente, che non butti a mare le scelte fondamentali di questi anni», rivendica la «coerenza esemplare» della sua coalizione e sottolinea quanto il centrodestra sia «condizionato da posizioni populiste antieuropee». La violenza politica in vista del voto preoccupa anche lui, ma Gentiloni non vede un disegno dietro gli «episodi gravissimi» degli ultimi giorni e non teme un ritorno agli anni ‘70. I protagonisti di «episodi isolati che vanno condannati» sono «minoranze sparute», che il Viminale sta comunque prendendo assai sul serio. C’è anche il tempo per smentire che Renzi e Salvini abbiano bloccato il rinnovo dei vertici dei servizi («assolutamente no») e per lodare il ministro Carlo Calenda, che «combatte gagliardamente sulla vicenda Embraco».

CORRIERE.IT

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