Torino, ai cancelli della disperazione: “Noi, i 500 dannati della Embraco”

STEFANO PAROLA

Debora ha “ festeggiato” il trentanovesimo compleanno un po’ manifestando in corteo lungo la statale e un po’ restando seduta sotto il tendone che i suoi colleghi della Embraco hanno montato davanti allo stabilimento: “Oggi i dirigenti di Embraco mi hanno fatto proprio un bel regalo. Me l’hanno organizzata bene. Speravo di entrare al lavoro tranquilla, magari offrire qualcosa ai colleghi. Invece eccomi qua, preoccupatissima per il mio futuro e per quello dei miei due figli”.
Lei è una delle più giovani tra i lavoratori della Embraco. Del resto, le ultime assunzioni nella fabbrica di Riva presso Chieri risalgono al 2001. Poi sono arrivate solo richieste di esuberi, cassa integrazione, contratti di solidarietà, fino all’annuncio dello scorso 10 gennaio: fine della produzione di compressori per frigoriferi, 497 addetti su 537 non servono più, gli altri restano per mandare avanti un ufficio commerciale.
Mentre a Roma si svolgeva l’ultimo incontro tra ministero, azienda e sindacati, nella fabbrica torinese si scioperava in attesa di avere notizie da Roma. Sono arrivate, ma tutte negative. “Pensavo che almeno avrebbero ritirato i licenziamenti” , ammette Angela, dipendente della Embraco da oltre 20 anni. Invece no, il gruppo brasiliano ha tirato dritto, spegnendo le poche speranze dei lavoratori: “Il fatto è che siamo in molti ad essere marito e moglie entrambi impiegati qui. Ai tempi, l’unico posto in cui assumevano era questo”, dice Angela.

Marina, Sonia, Davide, Giovanna: per ognuno di loro il licenziamento equivale a ritrovarsi senza non avere più alcun reddito in famiglia. Trovare un nuovo lavoro? “Ho 45 anni e ne ho 30 di contributi versati. La pensione è un miraggio e non so chi possa assumermi alla mia età”, evidenzia Davide.
Ecco perché la parola più ricorrente tra gli operai della Embraco è “ disperazione”. Luca però aggiunge pure altri aggettivi: “Siamo anche delusi, scoraggiati e incazzati”. Una delle uniche possibili soluzioni si chiama reindustrializzazione e lui un po’ ci spera: “Se il ministro Calenda ne ha parlato significa che qualcosa si può fare”. Al suo fianco, però, Gianfranco taglia corto: “La reindustrializzazione è tutta una finta, io non ci credo più. Mancano poco più di 30 giorni al licenziamento, è impossibile farcela in così poco tempo ». Roberto allarga le braccia: «Il fatto è che le multinazionali non tutelano il lavoro: quando non servi ti considerano soltanto un numero. Ma qui in Italia abbiamo anche un problema di tassazione troppo alta”.
La vicenda Embraco è cominciata a fine ottobre ed è esplosa a inizio gennaio e nel frattempo gli operai hanno comunque continuato a lavorare, pur con qualche sciopero. “È frustrante, perché c’è grande delusione. Già il lavoro è duro, ma è ancora peggio quando sai che ti manderanno via e che non esiste un posto per te in un’altra fabbrica», racconta Renzo. Angelo ha un timore in più: « Il 25 marzo scade la procedura, ma poi ci saranno altri 120 giorni per far partire le lettere di licenziamento. Significa che loro potrebbero ancora farci lavorare per quattro mesi. Ma con che spirito potremmo mai farlo?”.
Di cercare altri impieghi, per ora, non se ne parla: “Ci conviene aspettare di avere la Naspi. Ora al massimo rimedieremmo contratti in qualche agenzia interinale, con la prospettiva di lavorare 2- 3 mesi e di essere lasciati di nuovo a casa” , ragiona Michele. Silvano Zaffalon, rappresentante sindacale in quota Uilm- Uil, vede tanto buio di fronte a sé e ai suoi colleghi: “La sorte della fabbrica è già stata decisa dalla Whirlpool, dall’altra parte del mondo. Ora diventa davvero dura. Mi sa che ci siamo presi una brutta malattia: si chiama “ multinazionale”. E temo che nei prossimi mesi non saremmo gli unici ad averla”.
E oggi torneranno in fabbrica aspettando notizie da Bruxelles dove il ministro Calenda va in missione dalla commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager per capire se c’è l’ombra del dumping fiscale nel trasloco dello stabilimento da Riva di Chieri in Slovacchia. Il ministro è convinto di sì: “Intervenga l’Europa”. E intanto la Guardia di Finanza sta raccogliendo un dossier con il materile sequestrato negli uffici della multinazionale nel blitz di venerdì.

REP.IT

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