Il premier Rajoy parla di un «referendum messinscena disertato dalla maggioranza dei catalani» e indica come unici responsabili i dirigenti di Barcellona che l’hanno organizzato nonostante fosse stato dichiarato illegittimo e anticostituzionale dalla Corte suprema spagnola. Le autorità catalane si scagliano invece contro «la violenza inaccettabile e irresponsabile del governo di Madrid» che in verità non sembra aver fatto ricorso a un uso smodato della forza né ha impedito del tutto le operazioni di voto. Sotto gli occhi e le telecamere di un’Europa attonita e di tutto il mondo una grande, antica nazione europea dopo cinque secoli di convivenza dei suoi quattro popoli oggi ha rischiato di lacerarsi al culmine di un crescendo di minacce che hanno incubato questa giornata tempestosa.

A chi chiede di chi sia la colpa di questo caos sarebbe facile rispondere che entrambe le parti in conflitto hanno gareggiato in irresponsabilità. Rajoy e il governo centrale, Barcellona e gli indipendentisti, entrambi sono diventati prigionieri di contrapposti principi non negoziabili. Resta che l’unità nazionale votata da spagnoli e catalani, galiziani e baschi nel non lontano 1978 e la vigente Costituzione non possono essere stracciate unilateralmente. Anche l’autodeterminazione non può essere negata in eterno ma deve negoziare le sue rivendicazioni senza smembrare lo Stato. A chi chiede come finirà, la risposta è che il conflitto non finirà fino a quando non prevarrà la disponibilità a rinunciare a qualcosa per non perdere tutto. Di fronte allo spettacolo d’intolleranza messo in scena tra Barcellona e Madrid, l’autonomia speciale dell’Alto Adige contrattata tra Italia e Austria, tra altoatesini e sudtirolesi, si erge come esempio di costruttiva moderazione e di intelligente equilibrio.

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