Confindustria alza le stime sul Pil: +1,5%. “Emergenza giovani, spreco del Paese”

MILANO – Anche Confindustria vede un po’ più rosa sull’Italia: l’associazione degli industriali alza le stime sulla ripresa economica e inquadra un mercato del lavoro in ripresa. Ma non manca di sottolineare il vero “tallone d’Achille” dell’Italia, ovvero le difficoltà dei giovani a inserirsi nel mondo occupazionale che rappresentano un doppio danno: per loro e per il sistema intero, che perde una spinta propulsiva e innovativa.

LE STIME SULLA CRESCITA
Il Centro studi di viale dell’Astronomia (Csc) prevede che l’anno si chiuda con una crescita del Prodotto interno lordo dell’1,5 per cento, livello accreditato anche dal Tesoro dopo le ultime indicazioni positive da parte dell’Istituto di Statistica. Si aspetta ora la mossa del governo, che il 21 settembre prossimo licenzierà la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, nel quale dovrebbe prendere atto del miglioramento delle prospettive economiche.

Intanto Confindustria incoraggia l’ottimismo, annotando che “queste previsioni potrebbero rivelarsi prudenti” anche perché non includono i possibili effetti positivi che potrebbero derivare da una legge di Bilancio amica della crescita. Come ama ripetere da tempo Pier Carlo Padoan, titolare delle Finanze, il “sentiero è stretto” visti i vincoli europei, che pure sono stati allentati per l’Italia. Soltanto ieri, il leader degli industriali Vincenzo Boccia ha ammonito che con questa manovra “non ci si possono permettere errori, altrimenti si rischiano tre passi indietro”. E lo stesso Padoan, intervenendo alla presentazione dello scenario Csc, ha ammonito che “il rischio più serio” in questa fase di “economia che sembra tornare alla normalità” è “pensare che il peggio sia passato e quindi meno o poco resti da fare”. I numeri del Centro studi dicono che c’è ancora strada da fare rispetto ai livelli pre-crisi: “A fine 2018 il Pil recupererà il terreno perduto con la seconda recessione (2011-2013)” ma “sarà ancora del 4,7% inferiore al massimo toccato nel 2008”. Quanto al confronto internazionale sulla crescita, il differenziale rispetto al resto dell’Euroarea resta negativo ed elevato, anche se dimezzato: nel 2017 è pari a 0,8 punti percentuali, contro l’1,5 del 2015.

Previsioni a confronto

PIL (var. %) Deficit/PIL (%)
2017 2018 2017 2018
CSC (14 settembre 2017) 1,5 1,3 2,1 2,3
REF (4 settembre 2017) 1,5 1,2 2,2 2,3
Deutsche Bank (4 settembre 2017) 1,5 1,2 2,3 2,2
Banca d’Italia (14 luglio 2017) 1,4 1,3
Citigroup (23 agosto 2017) 1,5 1,0 2,0 2,2
Intesa SanPaolo (29 agosto 2017) 1,4 1,1 2,0 1,9
FMI (24 luglio 2017) 1,3 1,0 2,4 1,4
UniCredit (30 giugno 2017) 1,3 1,0 2,1 1,9
Morgan Stanley (4 giugno 2017) 1,2 1,0 2,3 1,8
Prometeia (14 luglio 2017) 1,2 1,0 2,2 1,9
IHS Global Insight (15 agosto 2017) 1,2 1,0 3,2 2,2
Governo (11 aprile 2017) 1,1 1,0 2,1 1,2
Governo – quadro tendenziale (senza manovra) 1,1 1,0 2,3 1,3
Commissione europea (11 maggio 2017) 0,9 1,1 2,2 2,3
OCSE (7 giugno 2017) 1,0 0,8 2,1 1,4
Ordinate per la variazione cumulata 2017-2018 del PIL.

LAVORO, LUCI E OMBRE. E UN PROBLEMA ENORME
Sul fronte occupazionale, la diagnosi del Csc diventa più sfaccettata. Da una parte, infatti, gli scenari economici di oggi dicono che nel 2017 l’occupazione salirà dell’1,1% e nel 2018 dell’1% (+500mila posti aggiuntivi, i cosiddetti ULA), dopo il +1,4% del 2016. E il capoeconomista Luca Paolazzi può rimarcare che “è stato recuperato un milione di posti di lavoro” e sottolineare che il lavoro “non è la Cenerentola del recupero in atto”, ma “va meglio dell’economia nel suo complesso”. Le persone occupate “a fine 2018 supereranno di 160mila unità” il picco del 2008.

Restano i “ma”, su questo aspetto. A cominciare dalle “persone a cui manca lavoro in tutto o in parte”, che “sono ancora 7,7 milioni”. Questo esercito “rende meno diffusa la percezione dei miglioramenti registrati”.

Altro capitolo assai dolente: i giovani. La bassa occupazione giovanile è il vero tallone d’achille del sistema economico e sociale italiano. Nel rapporto con la popolazione di riferimento ha una distanza di 10-17 punti (a seconda della fascia d’età) dalla media dell’Eurozona. “L’inadeguato livello dell’occupazione giovanile sta producendo gravi conseguenze permanenti sulla società e sull’economia dell’Italia, sotto forma di depauperamento de capitale sociale e del capitale umano”: per gli economisti di Confindustria è “una emergenza”, un “doppio spreco per il Paese” che “si traduce in abbassamento del potenziale di crescita” e “vanifica in parte il potenziale delle riforme strutturali faticosamente realizzate”. Nel 2016 un sesto dei 15-24enni era occupato (16,6%), contro poco meno della metà in Germania (45,7%) e quasi un terzo nella media dell’Eurozona (31,2%). Tra i 25-29enni il tasso di occupazione italiano balza al 53,7%, ma il divario rispetto agli altri paesi euro si amplia, da 14,6 a 17,1 punti percentuali.

E il contraccolpo per il Paese è enorme: la fuga dei giovani all’estero costa all’Italia un punto di Pil all’anno, valutato in 14 miliardi di euro, in perdita di capitale umano. In sette anni il fenomeno ha subito un’accelerazione impressionante: si è passati dai 21 mila emigrati under 40 del 2008 ai 51mila del 2015. Il Csc tiene in considerazione che la spesa familiare per la crescita e l’educazione di un figlio, dalla nascita ai 25 anni, può essere stimata attorno ai 165 mila euro: è come se l’Italia, con l’emigrazione dei suoi giovani, in questi anni avesse perso 42,8 miliardi di euro di “investimenti in capitale umano”. A questi sprechi va aggiunta la perdita associata alla spesa sostenuta dallo Stato per la formazione di quei giovani che hanno lasciato il paese: 5,6 miliardi se si considera la spesa media per studente dalla scuola primaria fino all’università. Nel solo 2015, per intendersi, 14 miliardi nel 2015.

CONTI PUBBLICI: IMPERATIVO RISANARE
Da ultimo, sul fronte della finanza pubblica resta l’ineludibile imperativo del risanamento dei conti pubblici: è fondamentale, dicono gli economisti, che l’Italia incanali il debito su un sentiero di rientro, benché più graduale “dell’irrealistica e controproducente” regola europea del patto di Stabilità sul debito. Il deficit è previsto in riduzione sul Pil a 2,1% nel 2017 e al 2,3% nel 2018 senza aumento Iva e al netto della Manovra. Il debito resta al 132,6% del Pil quest’anno è scende al 131,8% il prossimo. L’inflazione totale è prevista rimanere ai valori  attuali: +1,4% nel 2017 e +1,2% nel 2018.

REP.IT

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