Corea del Nord, la morte di Otto Warmbier e la prudenza Usa

dal nostro corrispondente ANGELO AQUARO

PECHINO – Il ragazzo che pensava di poter andare in Corea del Nord come si va in gita è morto di una morte lentissima lunga quindici terribili mesi. E il suo sacrificio, adesso, è lì a ricordare a tutto il mondo che no, quello che minaccia il mondo con la bomba atomica e lascia spegnersi nelle sue carceri uno studente straniero processato in un tribunale-barzelletta non è, non può essere un paese normale. Il destino di Otto Warmbier, 22 anni, universitario della Virginia finito a Pyongyang in viaggio con altri studenti verso Hong Kong, e condannato a 15 anni per aver cercato di rubare un poster-ricordo del regime, “rafforza la mia determinazione di prevenire queste tragedie” ha detto il presidente Usa, Donald Trump ” e a impedire che gente innocente finisca nelle mani di regimi che non rispettano la legge o i diritti umani fondamentali”.

È una dichiarazione sostanzialmente sobria, come si conviene in morte “dell’ultima vittima di un regime brutale che gli Usa condannano”. Ma è uno statement che riflette anche la relativa difficoltà del Comandante in Capo che dopo aver promesso di risolvere la questione nordcoreana con qualunque mezzo, “non escludendo l’opzione militare”, l’unico risultato che si ritrova a sei mesi dall’insediamento è il ritorno a casa di un prigioniero che il regime di Kim Jong-un evidentemente sapeva già morto. Le cause? “Non abbiamo riscontrato nessuna frattura nelle ossa” aveva detto dopo il ricovero il dottor Daniel Kanter dell’Ospedale di Cincinnati apparentemente escludendo un trauma: “Non abbiamo notato nessun segno sulla pelle che possa indicare maltrattamenti” specificando però di “non poter speculare su che cosa sia successo in passato”.

Un tipo di coma del genere sarebbe stato invece consistente con un arresto respiratorio, probabilmente dovuto all’ostruzione delle vie pneumatiche. Ma anche qui: come si fa fare una diagnosi quindici mesi dopo l’accaduto? E basandosi su quei pochi referti arrivati da Pyongyang? Qui sì, trauma e indicazioni sarebbero, in teoria, tra le cause di un possibile arresto cardiopolmonare: ma come speculare oltre? Il ragazzo, durante il brevissimo ricovero, “ha aperto spontaneamente gli occhi a tratti”. Comunque non ha mostrato “segni di comprendere il linguaggio, rispondere ai comandi verbali o avere coscienza di dove si trovasse”. Ma questo è bastato ai suoi poveri genitori. “Era a casa” ha detto il padre, Fred Warmbier, che ha raccontato ai giornalisti come il suo viso, negli ultimi giorni, sembrava si fosse rasserenato. “Era a casa, e noi crediamo potesse sentirlo”, ha detto in uno statement in cui ha annunciato la morte avvenuta alle 2.20 locali di lunedì. “Quando Otto è tornato a casa, la sera del 13 giugno, non poteva parlare, non poteva vedere e non reagiva ai comandi verbali. Sembrava davvero distrutto – quasi angosciato. Sebbene non abbiamo più potuto sentire la sua voce, nel giro di un giorno abbiamo potuto però notare il cambiamento del suo viso: era in pace”.

Usa, morto lo studente americano rilasciato dalla Corea del Nord

La liberazione è avvenuta la scorsa settimana, proprio nelle ore in cui l’ex campione di basket Dennis Rodman sbarcava a Pyongyang per il suo quinto viaggio, il primo durante la presidenza di Trump, l’amico miliardario conosciuto durante il reality show “The Apprentice” che la più bizzarra stella dell’Nba aveva apertamente appoggiato in campagna elettorale. Viaggio che era sembrato anche una missione per conto di The Donald per la liberazione dei quattro ostaggi americani nelle mani di Kim. Invece, per la prima volta, il gigante nero non è neppure riuscito a incontrare personalmente il Giovane Maresciallo: a dimostrazione delle voci che vogliono il dittatore – a cui il campione ha fatto avere in regalo proprio un libro di Trump – vivere nell’incubo di essere assassinato, evitando così qualsiasi tipo di contatto esterno.

Quando il presidente Usa dice di ora voler “impedire” che altri “innocenti” finiscano nelle mani del regime sta puntando dunque a un obiettivo concreto – al di là delle dichiarazioni roboanti sull’Armada presupposta invincibile lì a premere sul regime che dall’inizio dell’anno, intanto, s’è esibito in una decina di lanci, nella corsa a realizzare quel missile intercontinentale capace di raggiungere con l’atomica gli Stati Uniti, annunciato da Kim nell’infausto discorso di Capodanno. Dice, Trump, che l’America sta pensando, per prima cosa, a evitare nuove tragedie impedendo magari per legge che i cittadini americani possano viaggiare fin lì. Il segretario di Stato Rex Tillerson ha confermato che gli Usa stanno valutando ‘restrizioni’ sui viaggi. E non è un caso che l’agenzia che ha organizzato la gita, la Young Pioneer Tour, ora dice che considera il trattamento subito dal povero Otto ‘spaventoso’ – e assicura che non permetterà più la partenza di cittadini americani. Ma può bastare? Tillerson ha confermato anche la paura che giustifica la sobria dichiarazione del suo capo: “Consideriamo la Corea del Nord responsabile dell’ingiusta prigionia e chiediamo il rilascio degli altri tre americani che sono stati illegalmente detenuti”. Eccolo dunque il nuovo incubo dell’amministrazione: la sorte degli altri americani tutti e tre di origine coreana. Kim Dong-chul, arrestato con l’accusa di spionaggio, come anche Kim Sang-Duk e Kim Hak-song, due docenti della Pust, un’università cristiana attiva da 15 anni con l’accondiscendenza ovviamente del regime, che tra i suoi banchi ha spedito i figli dell’elite.

È questo l’obiettivo principale dell’America di Trump, adesso: far tornare a casa gli ostaggi. Come se non fossimo tutti noi, come se non fosse il mondo intero ostaggio del regime: mentre Kim minaccia da un momento all’altro nuovi lanci e un altro test nucleare, mentre dalla Corea del Sud del nuovo presidente Moon Jae-in continuano ad arrivare invece segnali di distensione e prove di dialogo, mentre l’America che continua a dire di contare sulla Cina per risolvere la questione coreana si mostra sempre più inerme – mentre tutti piangiamo un povero ragazzo morto pensando di poter andare in Corea del Nord in gita.

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