Una sorpresa che impone un nuovo inizio

Federico Geremicca

Di fronte ai 2 milioni di cittadini che hanno animato ieri (nel cuore di un lungo ponte) le primarie che hanno confermato con un semiplebiscito Renzi alla guida del Pd, non sappiamo se sia più corretto – come sta avvenendo in queste ore – parlare di «affluenza straordinaria» o, nonostante tutto, di un «imbarazzante flop». Siamo certi, al contrario, che la parola «miracolo» – considerate le scissioni, le inchieste giudiziarie e il vento che spazza il Paese – possa render bene il senso di quanto accaduto in questa ultima domenica di aprile.

 Certo, il segnale è importante e, allo stesso tempo, incoraggiante: testimonia – infatti – la perdurante vitalità della democrazia italiana ed un suo «stato di salute» forse addirittura migliore di quel che si poteva temere. Il Pd, insomma, ha buoni motivi per manifestare soddisfazione: ma farebbe bene a ricordare che i miracoli non si ripetono all’infinito.

E che, per dirne una, se il secondo mandato da segretario di Renzi dovesse riproporre le dinamiche del primo – con una quotidiana e paralizzante guerriglia interna, conclusasi con un scissione – giornate buone come quella di ieri potrebbero diventare difficili, se non del tutto impossibili.

Matteo Renzi ha vinto con percentuali che, sia nei circoli che ai gazebo, non ammettono repliche. A valutare il risultato a giochi fatti, si potrebbe cadere nell’errore di considerarlo – ora – prevedibile e scontato: invece, la difficilissima fase attraversata da Renzi (dalla perdita del referendum a quella di Palazzo Chigi, passando per i guai dell’inchiesta Consip) e le insidiose candidature di Andrea Orlando e Michele Emiliano facevano di queste primarie un ostacolo non facile nemmeno per un leader abituato, come lui, a questo tipo di sfide. Ciò nonostante, non è errato – né contraddittorio – sostenere che per il segretario reinsediato le difficoltà maggiori comincino proprio ora.

 

Infatti, sulla base di una analisi che parte dall’impossibilità che Renzi cambi se stesso ed il suo modo di far politica, al leader del Pd vengono decisamente attribuite le seguenti tre intenzioni: varare una legge elettorale proporzionale che «freghi» i Cinque Stelle, augurare «serenità» a Paolo Gentiloni – dopo averla già augurata a Enrico Letta – e correre verso elezioni anticipate prima che il varo della difficile manovra d’autunno (con un governo a guida Pd a Palazzo Chigi) trasformi in un miraggio la sua speranza di tornare alla guida dell’esecutivo.

Bene: dar ragione a chi giura sul fatto che questi sono i suoi programmi, rappresenterebbe – per Renzi – un errore forse irrecuperabile. Un simile percorso, infatti, dimostrerebbe – allo stesso tempo – due semplici cose: che nulla si è imparato dalle lezioni subite e che ha ragione chi, appunto, sostiene che «Renzi non cambierà mai» (con buona pace del passaggio dall’«io» al «noi», della maggior collegialità, del ticket con Martina e via elencando).

 

Al contrario, il neo segretario del Pd dovrebbe forse imboccare vie radicalmente opposte a quelle ipotizzate. Dunque, lavorare ad un sistema elettorale che non archivi il principio maggioritario e assicuri la nascita di governi coerenti con le indicazioni dell’elettorato; sostenere lo sforzo del premier Gentiloni in una fase così difficile da non ammettere «smarcamenti»; contribuire al varo di una manovra che, al netto delle tensioni con Bruxelles, tenga l’Italia agganciata al treno di una possibile ripresa. Solo scelte di questo tipo – insieme alla pratica di una maggiore collegialità alla guida del partito – possono dare il via a ciò di cui Renzi, così massicciamente votato, ha davvero bisogno: quel nuovo inizio promesso ma non ancora avviato.

LA STAMPA

 

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