Le tasse nel 2018 non scenderanno: i motivi

Andrea Telara

“Conti in ordine, senza alzare tasse”. Con  questa espressione il presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, ha presentato nei giorni scorsi l’ultimo Documento di Economia e Finanza (Def) che definisce le manovre fiscali dell’Italia nel prossimo triennio. A ben guardare, però, il premier non ha dato poi  una gran bella notizia. Più che un mancato aumento delle tasse, infatti, c’era chi sperava ci fosse finalmente un vero e proprio taglio. Anzi, secondo l’agenda di riforme annunciata negli anni scorsi dal predecessore di Gentiloni, cioè Matteo Renzi, il 2018 doveva essere l’anno buono per vedere una riduzione massiccia delle aliquote dell’irpef, la principale imposta che grava sugli stipendi, le pensioni e su tutti gli altri redditi delle persone fisiche.

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E invece, almeno secondo il testo dell’ultimo Def, il tanto atteso taglio dell’irpef non ci sarà. Il governo preferisce concentrarsi su altre misure come la riduzione del costo del lavoro per i neo-assunti e non vuole rinunciare a nuovi capitoli di spesa come quelli necessari per coprire  l’aumento di stipendio degli statali o il Reddito d’inclusione, cioè il nuovo sussidio contro la povertà. Non a caso, secondo le cifre riportate nel Def, durante il 2018 ci sarà addirittura una lieve ripresa della pressione fiscale, cioè del peso delle tasse sul prodotto interno lordo (pil). Dopo essere scesa dal 42,9 al 42,3% del pil tra il 2016 e il 2017, nel 2018 la pressione fiscale dovrebbe infatti risalire al 42,8%.  

I vincoli del deficit e la crescita bassa
Se non ci arriveranno nuove tasse come preannunciato da Gentiloni, insomma, bastano quelle che già ci sono per far crescere di un po’ il prelievo fiscale nelle tasche dei contribuenti. Ecco allora che si ripete un copione già visto negli anni scorsi: l’incapacità del nostro paese di tagliare davvero con decisione le imposte, a causa di troppi vincoli interni ed esterni. Oltre alle nuove voci di spesa sopra ricordate, infatti, il governo si è impegnato con l’Europa a ridurre nel 2018 il deficit pubblico dall’attuale 2,1% del pil all’1,2%. Il che significa dover recuperare nei conti dello Stato quasi 15 miliardi di euro.

L’unica speranza, ancora una volta, è che le autorità di Bruxelles siano un po’ “clementi” e ci consentano di sforare un po’ sul disavanzo pubblico preventivato, arrivando fino all’1,8-2% del pil. “L’Italia rispetta con fatica il vincolo sul deficit, ma non riduce il rapporto debito-pil e non trova il coraggio per tagliare le tasse più decisamente, se non ricorrendo a scorciatoie come i margini di flessibilità” ha scritto su Lavoce.info l’economista Francesco Daveri, aggiungendo un’altra considerazione poco confortante: senza il coraggio di tagliare le tasse è difficile per l’Italia vedere crescere l’economia più di quel risicato 1% preventivato nel testo del Def.

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