In nome del Papa Re

Venerdì 07 aprile 2017

A volte, diceva Flaiano, mi vengono in mente pensieri che non condivido. Ieri il Papa ha messo alla porta un certo Eugenio Hasler, potente funzionario inviso a mezzo Vaticano (all’altro mezzo sta inviso il Papa). Lo ha licenziato in tronco, senza troppe spiegazioni, e nonostante una lettera implorante della mamma di lui. Perché anche i funzionari vaticani tengono una mamma. Nelle stesse ore l’ormai leggendario Tar del Lazio bloccava l’espianto di duecento ulivi del Salento, necessario per fare passare sottoterra il tubo di un gasdotto destinato a diventare anch’esso una leggenda, come tante opere irrealizzate, la cui memoria si tramanda di padre in figlio.

Può darsi che il Papa abbia torto e il Tar del Lazio ragione: nell’Italia dei corsi, ma soprattutto dei ricorsi, l’infallibilità di quel tribunale è considerata dogma di fede. Non intendo entrare nel merito (conosco pochissimi gasdotti e nessun funzionario vaticano), ma solo proporre un rovesciamento dei ruoli. Con il Papa al posto del Tar, in un modo o nell’altro la sorte degli ulivi si sarebbe già decisa da tempo, e anche quella del tubo. Mentre, con il Tar al posto del Papa, il funzionario cacciato sarebbe ancora al suo posto, aggrappato a qualche codicillo per la gioia della sua mamma, ma forse non dei suoi dipendenti. Ecco, persino un laico risorgimentale che ogni 20 settembre festeggia la breccia di Porta Pia si ritrova a cullarsi nel sogno di un Papa Re. Ma è la debolezza di un attimo, perché non è detto che ci capiterebbe un Bergoglio. E se poi eleggono Alfano?

CORRIERE.IT

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