Governo Gentiloni, c’è il vuoto (ma non sia una resa)

Tirare a campare no, Gentiloni ha detto che non intende farlo. Ma scegliendo quella metafora al nostro presidente del Consiglio sicuramente non è sfuggita l’eco della postilla che sempre vi aggiungeva Giulio Andreotti: tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia. Se il premier si sente stretto in questa alternativa così classicamente da Prima Repubblica, come in un qualsiasi governo a guida democristiana del tempo che fu, ha le sue ragioni. La lunga crisi del Pd, che cova da mesi sotto le ceneri referendarie del governo Renzi ma che forse era cominciata da molto prima, sta esportando instabilità in tutto il sistema. Ieri Gentiloni ha respinto l’attacco esterno portatogli dal Movimento Cinque Stelle, che facendo cadere Lotti avrebbe fatto cadere l’intero Gabinetto e forse messo fine alla legislatura. Ma che accadrà quando un ben più infido attacco sarà portato dal gruppo bersaniano di Mdp? Gli scissionisti, infatti, seppure con zoppicante logica, non hanno votato ieri la mozione di sfiducia dei Cinquestelle ma vogliono ugualmente le dimissioni di Lotti, e hanno depositato una mozione in cui chiedono che Gentiloni gli ritiri le deleghe.

Se fosse calendarizzata, rischierebbe di raccogliere più consensi di quella bocciata ieri: una vera e propria trappola ad orologeria. Per una strana congiuntura, il governo Gentiloni è apparso prima come la mera prosecuzione del renzismo sotto altra forma, e poi invece è diventato la bandiera degli oppositori di Renzi.

Per una strana congiuntura, il governo Gentiloni è apparso prima come la mera prosecuzione del renzismo sotto altra forma, e poi invece è diventato la bandiera degli oppositori di Renzi.

Gli oppositori di Renzi, sia fuoriusciti sia rimasti, i quali giuravano di volerlo difendere dalle manovre per ottenere le elezioni anticipate. Ma in realtà né ai renziani né agli anti renziani sembra importare davvero della sua sorte, concentrati come sono entrambi a prendere la migliore posizione di partenza di questa nuova, lunghissima, estenuante campagna elettorale, prima per le primarie pd e poi per il Parlamento, che è cominciata dopo quella già infinita del referendum.

È presumibile che Gentiloni ballerà davvero quando a ottobre dovrà varare la legge di Stabilità. Tutti la vorranno più simile a un programma elettorale che a un programma di governo. E questo il premier non potrà permetterlo, perché l’Italia non può permettersi un anno e più di stallo, dal dicembre dello scorso anno al febbraio del prossimo. Perciò Gentiloni ha avvertito il pericolo del tirare a campare. La sua preoccupazione è pienamente giustificata. C’è solo da sperare che si comporti di conseguenza. Oggi il governo è forse il solo punto fermo della vicenda politica italiana, e del vuoto su cui è nato dovrebbe piuttosto fare un punto di forza, per affrontare le scelte, numerose e difficili, che urgono.

La prima, quella forse più complicata, è la legge elettorale. Già era discutibile rinviarla a dopo la decisione della Consulta, visto che l’Italicum era condannato da mesi; poi è stato solo furbo rinviarla a dopo la pubblicazione della sentenza. Ma adesso è insostenibile l’argomento che bisogna aspettare le primarie del Pd. È un modo di ammettere, oltre ogni pudore, che in Italia le leggi elettorali si fanno ormai in aperto ossequio alle convenienze politiche del momento. Una prassi sciagurata, che già stiamo pagando a caro prezzo.

CORRIERE.IT

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