L’esercito dei 400 mila in nero

francesco grignetti
roma

Così come le agromafie dilagano in Italia, anche il fenomeno del caporalato non conosce flessione. Anzi. Il caso di Paola Clemente, la 49enne bracciante di San Giorgio Jonico stroncata nel 2015 da un malore, è solo la punta di un gigantesco iceberg. Grazie al lavoro silenzioso e irto di pericoli della Cgil, che da anni manda in giro i «camper dei diritti» nelle campagne più a rischio di lavoro nero, sappiamo che il sommerso in agricoltura tocca oltre 400 mila lavoratori. Di questi, uno su quattro, in prevalenza stranieri, sono quelli «costretti a subire forme di ricatto lavorativo e a vivere in condizioni fatiscenti», come si legge nell’ultimo Rapporto a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil.

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Quattrocentomila persone che lavorano in nero. Un esercito. «Lavoratori sfruttati, sottopagati, agli ordini – spiegava Ivana Galli, Segretaria Generale Flai-Cgil alla presentazione del 3° Rapporto – dei caporali e delle aziende che a loro si rivolgono. Sono un dato non degno di un Paese civile e moderno. Ma dalle colline del Chianti alle campagne di Ragusa, il caporalato segue le stesse regole ed il circuito dell’illegalità alimenta tutta un’economia illegale che parte proprio dai campi e segue la filiera dell’agroalimentare».

 

 

Sono almeno 80 gli epicentri del lavoro nero in agricoltura, da Nord a Sud. Le mappe del lavoro sfruttato, però, sono cangianti perché seguono l’andamento delle stagioni e delle culture. Esenti dal fenomeno sembrano essere soltanto la Sardegna, la Liguria e il Molise.

 

Per il resto, se si guarda ad esempio alle lavorazioni autunnali, si va da Saluzzo a Canelli a Tortona in Piemonte; alla zona del Franciacorta in Lombardia; Laives in Trentino-Alto Adige; Padova in Veneto; Portomaggiore in Emilia-Romagna; l’Amiata in Toscana; Fondi e Terracina nel Lazio; l’Agro nocerino-sarnese e l’area di Sessa Aurunca in Campania; Andria, Bisceglie e Lecce in Puglia; Rosarno, Cosenza e Vibo Valentia in Calabria, fino alla fascia costiera di Ragusa, le Alte Madonie e Partinico, Palagonica e Capo d’Orlando in Sicilia. Diverse, ovviamente, sono le mappe della primavera e dell’estate. Ma il quadro non cambia.

 

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Non soltanto Meridione, dunque. E non soltanto migranti. Il 1° maggio scorso, alla vigilia dell’annuale campagna di raccolto, la Flai-Cgil della Puglia aveva invitato la presidente della Camera, Laura Boldrini, per incontrare i parenti delle vittime del caporalato e una delegazione di lavoratrici agricole pugliesi. Sono le donne infatti, le vittime preferite dei caporali. E non mancano le denunce che lo sfruttamento e il ricatto si accompagnino spesso a molestie e violenze sessuali.

 

Già, le donne. Una di loro ha trovato il coraggio di parlare con i magistrati e si ritrovano queste sue parole in un verbale: «Una volta sul pullman, nel momento in cui venivano distribuite le buste paga, alcune donne si sono lamentate dei giorni mancanti. (Il caporale, ndr) ha detto che noi lo sapevamo, quindi non dovevamo lamentarci. Nessuna ha più parlato anche perché si ha paura di perdere il lavoro. Anche io adesso ho paura di perdere il lavoro e di essere chiamata infame. Ho un mutuo da pagare, mio marito lavora da poco mentre prima stava in cassa integrazione. Dovete capire che il lavoro qui non c’è. Perderlo, è una tragedia».

 

È qui, lucrando sul bisogno e sulla paura, che s’inseriscono i caporali. Ora c’è una nuova legge, firmata a suo tempo dai ministri Maurizio Martina e Andrea Orlando, che colpisce duro. Ma la strada è in salita perché il fenomeno è diffusissimo. Nell’ultimo anno le ispezioni in aziende agricole sono cresciute del 59%. Ebbene, il 56% dei lavoratori erano parzialmente o totalmente irregolari, 713 i fenomeni di caporalato registrati.

 

Da tempo si sa che il caporalato ha avuto una mutazione genetica: agrumi, angurie e pomodori sono le principali colture coinvolte, ma non manca l’export di qualità, vedi il settore vitivinicolo e la macellazione. E il volto cupo dei caporali è sempre lo stesso: in genere è previsto un salario tra i 22 e i 30 euro al giorno, metà di quanto previsto dal Contratto di categoria, dalle 8 alle 12 ore di lavoro di fila, il cottimo (che sarebbe esplicitamente escluso), e perfino alcune pratiche criminali quali la violenza, il ricatto, la sottrazione dei documenti, l’imposizione di un alloggio, forniture di beni di prima necessità, oltre all’imposizione del trasporto a cura dei caporali medesimi. Il caporale pretende infatti dal bracciante 5 euro per il passaggio, 3,5 euro per il panino, 1,5 euro per l’acqua.

 

La Flai-Cgil con il suo 3° Rapporto ha anche svelato le nuove forme del caporalato mascherato: le agenzie di lavoro interinale e le cooperative apparentemente legali. Queste ultime hanno la caratteristica di essere cooperative senza terra, «vale a dire che non svolgono un’attività agricola», ma sono utilizzate per la costituzione di rapporti fittizi di lavoro agricolo. Capita nella Bassa mantovana, la Piana del Fucino, l’Alto-Bradano (Basilicata), la Piana di Sibari e anche nella civile Modena.

LA STAMPA

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