Archive for the ‘Immigrazione’ Category

Le Ong sfidano il governo: “Non rispetteremo i limiti”

venerdì, Dicembre 30th, 2022

Fausto Biloslavo

Le Ong si ribellano al decreto del governo che riguarda le loro discutibili attività in mare considerandosi al di sopra della legge.

I tedeschi di Sea Eye invocano addirittura l’intervento della Germania. Medici senza frontiere annuncia la ripartenza della loro nave spiegando che rispondono solo alle convenzioni internazionali. Emergency, con la nave che batte bandiera panamense, si rifiuta di raccogliere le richieste di asilo dei migranti recuperati.

Geo Barents, la nave di Msf salperà da Augusta il 31 dicembre per portarci altri migranti, anche se non scappano da paesi in guerra. Il capo missione è Juan Matias Gil. Quando l’allora ministro all’Interno Matteo Salvini voleva bloccare la nave di Open arms twittava: «La Ong spagnola fa vedere il lavoro sporco ed inumano dei governi libico ed italiano». Oggi si scaglia contro l’esecutivo Meloni e dichiara: «La strategia del governo ha l’obiettivo di ostacolare le attività di ricerca e soccorso delle Ong. Salvare vite umane è il nostro imperativo ed è un obbligo sancito da tutte le convenzioni e le leggi internazionali. Per questo continueremo a farlo».

I più spudorati sono i talebani dell’accoglienza tedeschi. Annika Fischer annuncia che «Sea-Eye non seguirà alcun codice di condotta illegale o qualsiasi altra direttiva ufficiale che violi il diritto internazionale o le leggi dello Stato di bandiera, nel nostro caso la Germania».

Quando il governo sostiene che dovrebbero sbarcare i migranti in Germania, lo Stato di bandiera non conta. Adesso, per opporsi al decreto, si aspettano «che il governo tedesco tuteli le organizzazioni di soccorso in mare dal comportamento illegale delle autorità italiane e ci sostenga con decisione in caso di conflitto».

Emergency con l’ammiraglia Life support, batte bandiera panamense. E si oppone al decreto sottolineando il niet all’obbligo da parte dello staff della nave a «raccogliere l’eventuale interesse dei superstiti di chiedere asilo, affinché sia il Paese bandiera della nave a farsi carico delle richieste di protezione internazionale». Come se fosse la corte di Cassazione spiega che secondo le linee guida dell’Organizzazione internazionale marittima «qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio deve essere gestita sulla terra ferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie». In pratica dà ordini al governo.

Veronica Alfonsi, di Open arms, denuncia senza timore del ridicolo, che il vero obiettivo è fermare i testimoni «delle violazioni dei diritti quotidiane e reiterate che l’Europa compie in accordo con Stati illiberali, con dittature, con regimi, ai quali peraltro continua a dare un mucchio di soldi pubblici». Il riferimento è alla Libia, ma le Ong del mare non si pongono mai il problema di agire come pull factor per la gioia dei trafficanti di esseri umani.

I fiancheggiatori della Chiesa sono subito scesi in campo. Tonio Dell’Olio, sacerdote e attivista della non-violenza, ex coordinatore nazionale di Pax Christi, non ha dubbi: «Nel Paese che ha il triste primato delle mafie più potenti del mondo il decreto sicurezza criminalizza chi presta soccorso ai disperati che scappano da mafie, guerre e fame».

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Migranti a Catania, tensione dopo i primi sbarchi dalla Humanity. Soumahoro a bordo della nave: “Resisteremo”. Pd: “Scelte governo illegittime, Piantedosi riferisca in aula”

domenica, Novembre 6th, 2022

La nave Humanity1 è ancora ferma al porto di Catania. Al momento sono stati fatti sbarcare 149 migranti; tra loro alcuni minorenni, e un neonato. Per la Ong Sos Humanity potrebbero sbarcarne ancora degli altri, con problemi di salute. A bordo della nave Humanity 1 ci sono ancora 35 persone. «I naufraghi sono sfiniti», spiega a LaPresse la Ong facendo presente che uno di loro ha appena avuto un esaurimento nervoso.

Migranti a Catania, le ispezioni sanitarie a bordo della Humanity 1

La situazione davanti alle coste siciliane rimane particolarmente complessa. Cinque navi, due battenti bandiera tedesca, due battenti quella norvegese e una liberiana, si trovano a largo nel tratto di mare che va da Catania a Taormina. Un caso che va avanti da giorni, quando alla «Humanity 1» era stato impedito di entrare nelle acque territoriali italiane, senza l’assegnazione di un porto sicuro. Oltre ad essa, sono presenti anche la «Rise Above», la «Geo Barents» con 572 migranti, la «Ocean Viking» con 234.

Humanity, Croce Rossa: “Medici Usmaf a bordo, gli sbarcati saranno trasferiti al Palaspedini”

Soumahoro a bordo della Humanity: «Resisteremo»
«Respingere illegalmente 40 persone sfinite e con le lacrime agli occhi, negare il diritto a decine di naufraghi è illegale ed è disumano. Questo non è difendere i confini italiani e non migliora la vita di chi vive in Italia. Questo e’ disumanità e noi resisteremo». Lo afferna il parlamentare Aboubakar Soumahoro, salito sulla nave Humanity 1, in seguito a un malore di uno dei profughi e la decisione di non far scendere alcune decine di migranti – in quanto ritenute in buona salute – dei 179 approdati ieri sulla nave della ong tedesca Sos Humanity. «Sono otto ore con le vite sospese, otto ore di disumanità, otto ore senza cuore, di persone che hanno affrontato freddo, traumi, un calvario. Presidente Meloni, lei ha giurato sulla costituzione italiana. Non può piegare la nostra carta costituzionale per dei giochi di potere che rispondono a una deriva non umana», ha concluso.

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Migranti, a Lampedusa l’hotspot della vergogna

lunedì, Luglio 11th, 2022

Flavia Amabile

DALL’INVIATA A LAMPEDUSA. È difficile accettare Lampedusa con gli ombrelloni, i turisti, i bambini che fanno i capricci, le gite in barca a cinquanta euro per vedere delfini, tartarughe e ignorare i migranti che con il bel tempo hanno ripreso a sbarcare sule coste dell’isola. È difficile accettare questo pezzo di terra più vicino all’Africa che all’Italia dove ieri davanti alla spiaggia del Porto svettava la cacciatorpediniere San Marco che per i turisti si è trasformata nell’ennesima attrazione da esibire in videochiamata ai parenti insieme al mare cristallino senza sapere che era accorsa con la sua stazza imponente a risolvere il problema eterno delle estati sull’isola, l’hotspot che diventa un inferno di corpi, rifiuti ed escrementi.

È difficile accettare Lampedusa soprattutto per chi sopravvive ai deserti dell’Africa, alla prigionia nei lager libici, gli stupri, le violenze, i ricatti alle famiglie per estorcere altri soldi in cambio della libertà e scoprire che la loro libertà è rischiare la vita nel Mediterraneo e arrivare in un luogo fetido, dove ci sono una decina di bagni per 1.850 persone, l’acqua corrente va e viene e, per evitare di dormire sul terreno cosparso di rifiuti, bisogna arrangiarsi con materassi di fortuna.

Non è una novità l’incapacità dell’hotspot di Lampedusa di offrire condizioni dignitose ai migranti in arrivo, ogni anno però diventa più incredibile assistere al ripetersi di un’emergenza che non trova più giustificazione nel numero degli sbarchi. «È inaccettabile che, dopo tutte le denunce, le battaglie e gli avvertimenti, ancora una volta a decidere i flussi in arrivo sia la criminalità», osserva Giusi Nicolini, ex sindaca dell’isola. È stata lei a pubblicare sui social alcune foto che mostravano le condizioni disumane del centro e a lanciare l’allarme. Ieri è arrivata la nave San Marco della Marina Militare a occuparsi di quella che dovrebbe essere una procedura ormai ordinaria, trasferire i migranti dall’hotspot di Lampedusa ai centri di accoglienza. «Se ogni giorno partissero delle persone si eviterebbe il sovraffollamento. Invece in Italia possiamo controllare quello che accade nei canili ma nessuno può entrare nei centri dove si trovano i migranti e verificare le condizioni in cui sono tenuti. È grave tutto questo anche perché vorrei sapere che cosa accade quando l’hotspot raggiunge questi numeri. Lo Stato paga per 1800 persone anche se non hanno, come dovrebbero, un bagno, un letto, una doccia, acqua corrente? Presenterò un’interrogazione parlamentare per chiedere di avere accesso alle fatture emesse e chiarimenti su questo tema».

Attraverso una decina di viaggi ieri sono stati accompagnati sulla nave San Marco circa 600 degli ospiti del centro e trasferiti a Porto Empedocle dove saranno assegnati alle strutture di accoglienza presenti in Sicilia. Nell’hotspot di Lampedusa restano comunque 1250 persone, circa quattro volte di più rispetto alla capienza regolare. E, come denuncia Silvia Faggin, Child protection officer di Save The Children, ci sono ancora 200 minori non accompagnati e 100 minori accompagnati, una situazione che le fa esprimere «preoccupazione per le loro condizioni precarie e di difficoltà nell’accedere ai diritti di base come cibo, acqua e assistenza sanitaria».

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Continuano le violenze degli immigrati. Ma la sinistra le nasconde ancora

martedì, Giugno 7th, 2022

Andrea Indini

Ci risiamo. Sei mesi dopo siamo punto e a capo. Stesso drammatico copione, stesse polemiche sterili. Gli abusi inflitti alle povere ragazze di ritorno da Gardaland ricordano drammaticamente le violenze dell’ultimo dell’anno in piazza Duomo a Milano. Branchi di bestie venuti dalle periferie di grandi città, come appunto Milano e Torino. Tutti di origine nordafricana, figli di immigrati, quelle famose seconde generazioni a cui la sinistra di Enrico Letta e compagni vorrebbero svendere la cittadinanza italiana a suon di ius soli. La logica del branco, appunto. Tanti maschi contro poche femmine. Le vittime scelte perché bianche, indifese, facili prede. E poi la mischia, alcuni che fanno da palo, gli altri che si fanno addosso, le mani dappertutto, gli insulti, le violenze sessuali. Poi il dopo, che è terrificante quanto il prima: la maggior parte dei giornali che raccontano fino a un certo punto, che fanno di tutto per nascondere la nazionalità delle bestie, che si mettono a discettare sul branco e non sull’integrazione impossibile, che tengono fuori dal dibattito la matrice culturale del gesto vile. Eppure, viene da dire, ci eravamo già passati.

Ci eravamo già passati all’inizio dell’anno, con i fatti di piazza Duomo a Milano, appunto. E prima ancora, stesso copione, con le orde di barbari in piazza a Colonia. Allora era il 2016 e la Germania, forse, ci sembrava troppo lontana. Lo scorso capodanno, invece, era Milano e non avrebbe dovuto sembrarci così lontano. Perché, sebbene in quei giorni molti milanesi fossero in montagna a sciare o a festeggiare chiusi in casa, quello spaccato culturale, che è andato in scena ai piedi della Madonnina e che nel Nord Africa ha un nome ben preciso (taharrush gamea che in arabo significa “aggredire e molestare le donne in strada”), era un morbo che aveva già contagiato la nostra società. Avrebbe dovuto risuonare nelle nostre teste come un campanello d’allarme. Così non è stato, almeno non per tutti. I progressisti hanno estrapolato, creato distinguo a non finire. E poi si sono arrampicati sugli specchi arrivando addirittura a dire che ci troviamo di fronte a “violenze e comportamenti figli di una cultura patriarcale della nostra società in cui un gruppo di ragazzi si sente in diritto di poter fare quello che vuole nei confronti delle ragazze” .

Non è così che avrebbero dovuto raccontarla. Quei crimini hanno un preciso humus culturale che affonda le proprie radici nelle periferie delle nostre città, sempre più simili alle banlieue parigine, sempre più quartieri dormitorio in mano a immigrati di seconda generazione. È qui, soprattutto a Milano e Torino ma non solo, che si formano i branchi ed è da qui che questi partono all’attacco. Una violenza che trova nell’islam radicale lo svilimento della donna e nel disagio sociale l’odio contro l’Occidente e il Paese che li ha accolti. Prima ancora del capodanno di Milano li avevamo visti in azione in piazza Vittorio, a Torino. Petardi, roghi di cassonetti, fumogeni, bombe carta e lanci di bottiglie. Dopo il blitz al concerto di fine anno, invece, li abbiamo visti rendere sempre meno sicure le vie del capoluogo lombardo. E, mentre veniva smentellata l’operazione “Strade sicure”, il sindaco Beppe Sala continuava a voltarsi dall’altra parte, quasi a non voler ammettere che esiste un’emergenza sicurezza.

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Rimini, accoltella quattro persone sul bus: la dinamica dell’aggressione

domenica, Settembre 12th, 2021

di Enea Conti

A Rimini un uomo accoltella quattro persone, tra cui un bimbo di 5 anni, ora gravissimo. Arrestato un cittadino somalo. Salvini: va mandato a casa

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Girava con una scatola di posate nello zaino l’uomo che ieri a Rimini ha accoltellato alla gola un bimbo di 5 anni mentre fuggiva dal bus su cui era stato trovato senza biglietto. Il piccolo è stato ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale Bufalini di Cesena; ieri a tarda sera era considerato in pericolo di vita. Ferite meno seriamente le altre tre persone che l’aggressore, un ventiseienne di nazionalità somala, ha colpito prima di infierire sul bambino e di essere arrestato. Gli inquirenti hanno per il momento escluso la pista terroristica.

Poco dopo le 19 l’uomo si trovava su un filobus della linea 11 in viaggio da Riccione a Rimini, all’altezza di Miramare. Due addette al controllo lo hanno avvicinato per chiedergli il biglietto, che non aveva. Mentre forniva le sue generalità, ha estratto dallo zaino una scatola con forchette e coltelli, ne ha impugnato uno e ha aggredito le due donne, ferendone una di striscio al collo e l’altra alla spalla, con un taglio più profondo. Secondo una prima ricostruzione, l’autista del bus ha fermato il mezzo ma non è riuscito a bloccare l’aggressore in fuga.

Mentre nella zona del lungomare — tra i turisti di rientro dalla spiaggia in un sabato di fine stagione — si scatenava la caccia all’uomo, il somalo ha prima tentato, senza riuscirci, di salire su un Suv che poco prima aveva superato il filobus; poi, vicino a un albergo, ha incrociato una donna e un bambino di 5 anni e ha sferrato altre coltellate. Il piccolo, colpito alla gola, è stato trovato dai soccorritori in condizioni gravissime.

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Afghanistan, Draghi dà il via libera agli scali per i profughi nelle basi americane

domenica, Agosto 22nd, 2021

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. I primi tre aerei sono stati già autorizzati ad atterrare sulla pista della base americana di Aviano. Altri sono attesi a Sigonella, in Sicilia. E’ il primo segnale concreto della telefonata di ieri notte fra il premier Mario Draghi e il presidente americano Joe Biden. Washington non sa più dove evacuare le migliaia di afghani a cui ha promesso asilo politico, e per questo ha chiesto assistenza ai partner. Un primo velivolo carico di profughi è già atterrato nella base americana a Ramstein, in Germania, altri sono attesi in Albania, Kosovo e Macedonia. Le autorizzazioni italiane sono concesse da Farnesina e ministero della Difesa: l’esercito americano potrà ospitare sul suolo italiano i profughi il tempo necessario a organizzare il trasferimento negli Stati Uniti.  

Il sì di Palazzo Chigi e degli altri governi alleati agli americani ha un valore umanitario e politico. La caduta rovinosa di Kabul nelle mani dei talebani e le prime dichiarazioni alla Casa Bianca di Joe Biden avevano fatto calare il gelo fra Washington e i partner europei. Passati i primi giorni, e toccate con mano le conseguenze dell’abbandono militare del Paese, Biden ha cambiato toni. Se durante il primo discorso alla nazione non aveva fatto alcun cenno alla collaborazione coi governi occidentali, ieri ha detto sì ad un vertice straordinario dei G7 in videoconferenza: dovrebbe svolgersi mercoledì. Solo dopo, se ce ne saranno le condizioni, Draghi chiederà un secondo vertice dei capi di Stato allargato al G20, soprattutto ai non alleati all’Occidente: Cina, Russia, Arabia saudita, Pakistan. Chi in queste ore tenta di fare da ponte fra Nato, talebani, Cina e Russia è l’autocrate turco Recyyp Erdogan. Ieri ha parlato al telefono sia con la cancelliera tedesca Angela Merkel che col russo Vladimir Putin. Erdogan è fra coloro che ha più da temere da una gestione incontrollata della crisi afghana. La Turchia, porta d’ingresso a est dell’Europa, nel 2015 si fece carico dell’emergenza siriana in cambio di sei miliardi di euro. Quest’anno non sembra interessata a fare altrettanto, con o senza lauti guadagni.

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Migranti, fermare gli sbarchi è possibile: basta rispettare le leggi

sabato, Agosto 14th, 2021

Francesco Storace

Sminare, presidente, sminare. Se Mario Draghi vuole risolvere davvero la questione dell’immigrazione clandestina che approda sulle nostre coste, si prenda qualche ora a Ferragosto per leggere che cosa ha scritto il magistrato che ha giudicato Matteo Salvini per il caso Gregoretti.

Nelle motivazioni della sentenza rese note in questi giorni, troverà tra i motivi dell’assoluzione piena del leader leghista esattamente quello che si deve fare per non far considerare l’Italia un pezzo d’Africa anziché d’Europa.

Scrive il giudice Nunzio Sarpietro con riferimento al governo 1 di Giuseppe Conte: la strategia dell’esecutivo “rimase ancorata alla fermezza ed alla ricerca della redistribuzione dei migranti prima di autorizzare lo sbarco”.

Ed è esattamente quello che accadde allora e poi con le altre navi – spesso Ong – che scaricavano carne umana nel nostro Paese: prima l’Europa dice sì a fare la sua parte per la redistribuzione dei migranti e poi si fanno sbarcare. Salvini, che andrà ad un altro processo per le accuse da cui è stato già assolto nel caso Gregoretti, chiede esattamente questo.

E Draghi lo deve far entrare in testa a Luciana Lamorgese, che pure sembrava incamminarsi lungo questa indicazione. Poi, l’inerzia. 

Ma ciò che è ancora più vergognoso, rispetto a quella sentenza e alle sue motivazioni, è il silenzio vile di chi portò Salvini a processo. Il voto dei senatori sul processo Gregoretti fu uno scandalo. Lo pensavamo ieri, ne siamo convinti oggi leggendo le parole del giudice. 

Ci fosse uno solo, tra quei senatori faziosi, che alzi la mano per chiedere scusa. Per ammettere di aver sbagliato. Per promettere di restituire quota parte i soldi buttati per una farsa. Hanno tentato di vendicarsi del segretario della Lega a spese dei cittadini. Sono stati quei senatori a far proprio il teorema di Luca Palamara: “Salvini ha ragione ma va attaccato”.

Però, ora sappiamo almeno che volere è potere, gli sbarchi possono essere fermati nel rispetto della legge. Ed ecco perché vorremmo che Draghi chiedesse alla Lamorgese che diamine sta facendo. Se i numeri dell’immigrazione erano veramente ridotti quando al Viminale c’era uno che “non ha fatto nulla di illegale”, è facile pensare, per ragionamento inverso, che chi c’è ora stia facendo di tutto in funzione dell’immigrazione illegale.

Per il giudice, presidente Draghi e ministro Lamorgese, “l’imputato ha agito non ‘contra ius’ bensì in aderenza alle previsioni normative primarie e secondarie dettate nel caso di specie. Allo stesso non può essere addebitata alcuna condotta finalizzata a sequestrare i migranti per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile”. Che altro deve accadere per invitare l’inquilina del Viminale a darsi una mossa mentre il numero degli immigrati irregolari cresce vertiginosamente?

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Immigrazione, le previsione per il 2050 sulla popolazione africana: “Entro il 2050, un quarto dell’umanità verrà dal Continente nero”

giovedì, Luglio 22nd, 2021

Annalisa Chirico

Venti percento della popolazione globale, 3 percento del Pil, 1 percento di immunizzazioni effettuate. Sono questi i numeri del continente Africa su cui il politologo americano Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group, si concentra in questa conversazione con Libero. «L’Africa è l’unico posto al mondo dove si prevede una crescita demografica esplosiva: la popolazione raddoppierà entro il 2050, il che vuol dire che un quarto dell’umanità sarà africano. La Nigeria da sola, con i suoi 400 milioni di cittadini, diventerà il terzo paese più popoloso del mondo, dopo India e Cina».

L’Economist ha parlato di “Secolo africano”: l’Africa sarà il campo di battaglia della competizione tra Stati Uniti e Cina?

«Per Pechino l’Africa rappresenta un pezzo importante della Nuova Via della seta, da diversi anni la Cina investe massicciamente, con risorse pubbliche e private, nella costruzione di infrastrutture materiali e digitali, nell’elettronica, nelle attività estrattive, nella tecnologia. Tuttavia i paesi che possono essere considerati “filocinesi”, nell’orbita d’influenza di Pechino, sono pochi: Angola, Etiopia, Zambia e Zimbabwe. Si tratta di realtà estremamente povere, rette da regimi autoritari. Quasi nessuno è schierato con gli Usa. Le tre economie più importanti (Kenya, Nigeria e Sud Africa) non si espongono né con Pechino né con Washington».

La nuova Guerra fredda si combatte in Africa?

«Non parlerei di competizione diretta ma di aree di influenza differenziate. Gli Usa sono impegnati sul fronte della cooperazione per la sicurezza, il finanziamento (attraverso l’Fmi e la Banca mondiale), la salute e la società civile. I cinesi investono sopratutto nell’economia attraverso prestiti, infrastrutture e relazioni commerciali. La situazione potrebbe cambiare se, per esempio, Pechino decidesse di realizzare altre basi militari come quella di Gibuti. Al momento però l’Africa non è una priorità per l’amministrazione Biden. Per il presidente le priorità sono la Cina e il clima».

Insomma, in Africa gli americani puntano sul soft power.

«Esatto, l’America fa leva sul settore privato, sulle Ong, su finanziatori individuali, senza ricorrere a mezzi statali».

Lei accennava alla bomba demografica africana, questione sensibile per l’Italia a causa delle ripercussioni in materia di immigrazione.

«Il futuro non promette nulla di buono. L’Africa è la regione più duramente colpita dal cambiamento climatico. L’università di Notre Dame elabora un indice di adattamento che stima la vulnerabilità ai rischi climatici: nove dei dieci paesi più esposti sono africani. Ciò rischia di rafforzare processi di radicalizzazione e migrazione. L’Africa è il luogo dove centinaia di milioni di persone non saranno più in grado di restare a vivere nelle proprie abitazioni per via del surriscaldamento; queste persone hanno inoltre la minore capacità di reddito per sostenere i costi di trasferimento in un paese vicino».

A rendere l’Africa fonte di instabilità contribuisce la proliferazione di tecnologie insidiose.

«È una minaccia concreta che le istituzioni locali non sono in grado di fronteggiare. La popolazione più giovane su scala mondiale, in larga parte privata del diritto di voto, sta diventando quella più capace di generare instabilità. Il phishing di matrice nigeriana che punta a infiltrarsi nel tuo conto corrente è un problema fastidioso, al pari dei rapimenti compiuti dai pirati in mare e degli attacchi cyber, sempre più sofisticati, contro le infrastrutture sensibili».

Una nota positiva in questo quadro fosco?

«Probabilmente il Covid. A livello di contagi, il continente ha affrontato il virus meglio di altre parti del mondo, favorito da una popolazione più giovane, meno esposta alle forme gravi di malattia, e ai collegamenti ridotti con le aree di crisi. L’esplosione della variante Delta però complica tutto: il progetto Covax è una delusione totale e gli africani si ritrovano, di fatto, senza vaccino. L’Africa sarà l’ultima regione del mondo a potersi definire “post pandemica”, e questo è un male per i cittadini africani impossibilitati a viaggiare per lavorare».

LIBERO.IT

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Migranti, nuovo rinvio: arrivano i fondi ma no ai ricollocamenti

venerdì, Giugno 25th, 2021

ALESSANDRO BARBERA

DALL’ INVIATO A BRUXELLES. Fra i Ventisette non si discuteva del tema migranti da tre anni. L’Italia per ora non ha ottenuto quel che sperava, e non avrà alcun aiuto concreto durante l’estate. La discussione al vertice dei capi di Stato – l’ultimo per Angela Merkel da Cancelliera – è durata pochi minuti, il tempo di approvare le conclusioni scritte nei giorni precedenti dagli sherpa dei governi. Non c’è alcun accordo sui ricollocamenti dei richiedenti asilo, né con l’Unione, né tantomeno con Francia e Germania, la cui campagna elettorale condiziona le scelte anche fuori dei confini. In compenso l’Unione, senza distinguo, si è detta favorevole a rafforzare gli aiuti verso i Paesi terzi e di origine. Si partirà dal rinnovo dell’accordo con la Turchia, poi si passerà al Nordafrica e al Sahel. Mario Draghi considera in ogni caso un successo l’aver imposto il tema nell’agenda dei leader.

Tre miliardi e mezzo andranno al rinnovo dell’accordo del 2016 con Ankara per la gestione dei confini est dell’Unione, altri 2,2 miliardi verranno usati in Giordania, Libano e Siria. L’Europa scende di nuovo a patti con l’autocrate turco in nome della realpolitik: «La Turchia ha accolto tre milioni di profughi e merita il nostro sostegno», ha detto più volte la Merkel in questi giorni. L’Unione ha dato mandato alla Commissione europea e all’alto rappresentante per la politica estera a presentare piani d’azione per i Paesi prioritari di origine e transito entro questo autunno, con «misure di sostegno e tempistiche concrete». Dice il documento: «Sebbene le misure adottate dall’Unione e dagli Stati membri abbiano ridotto i flussi irregolari complessivi, gli sviluppi su alcune rotte destano serie preoccupazioni e richiedono una vigilanza continua e un’azione urgente». Per prevenire la perdita di vite umane e ridurre la pressione sui confini europei, «saranno intensificati i partenariati e la cooperazione reciprocamente vantaggiosi con i paesi di origine e di transito, come parte integrante dell’azione esterna dell’Unione». Si farà un uso coordinato di tutti gli strumenti disponibili «in stretta collaborazione con l’Onu». La lista dei possibili interventi è lunga: sostegno dei rifugiati e degli sfollati su suolo africano, lotta a tratta e contrabbando, rafforzamento del controllo delle frontiere, cooperazione in materia di ricerca e soccorso. C’è poi un’interessante coda al documento: «Il Consiglio condanna ogni tentativo di Paesi terzi di strumentalizzare i migranti per ragioni politiche». Fra i tanti, l’ultimo episodio lo ha raccontato ai colleghi il premier lituano. «La Bielorussia spinge verso il confini dell’Unione migranti iracheni e siriani». E’ l’ultima rotta della disperazione alimentata dal dittatore Lukashenko come ritorsione per le sanzioni europee contro Minsk.

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Il piano B di Draghi: fermare i migranti con i fondi all’Africa

venerdì, Giugno 18th, 2021

Amedeo La Mattina, Ilario Lombardo

ROMA E BARCELLONA. Mario Draghi ha una settimana di tempo per sperare di risolvere l’impossibile: dare all’Europa una soluzione sul tema migratorio che vada bene a tutti i Paesi membri. Le premesse non sono delle migliori. Gli sbarchi aumentano e dal fronte continentale si continua, come sempre, a far finta di nulla. L’incontro bilaterale di oggi, a Barcellona, con il premier spagnolo Pedro Sanchez servirà a saldare l’asse del Mediterraneo in vista del Consiglio europeo del 24-25 giugno, che il presidente del Consiglio italiano ha preteso fosse dedicato proprio al nodo mai sciolto della gestione dei migranti.

L’intesa con la Spagna aiuta, ma per Draghi servirà a poco se l’Italia non sarà in grado di trascinare sulle proprie posizioni la Francia e la Germania. Per questo, a Palazzo Chigi invitano a porre grande attenzione al prossimo bilaterale di Draghi, lunedì a Berlino, con la cancelliera Angela Merkel. È all’interno di quella cornice che il governo italiano spera di ottenere un primo impegno concreto da portare sul tavolo del summit europeo.

Draghi lavora di realismo. Ha capito che il Trattato di Dublino è rimasto lettera morta, e non sono serviti anni di sbarchi, immagini drammatiche, foto di bambini alla deriva, a scuotere i partner dell’Ue. L’Europa ci ha riprovato con il patto di Malta, prevedendo una formula di redistribuzione non obbligatoria, ma anche in questo caso i passi compiuti in avanti sono stati insufficienti. Spiegano fonti di governo che per il premier italiano le strade si restringono: se i membri Ue non intendono accettare la distribuzione di migranti come si era deciso a Malta, allora bisognerà ideare un piano finanziario di matrice europea per fermare o quantomeno comprimere al massimo le partenze dai Paesi di provenienza dei migranti. È il modello Libia, che Draghi, d’accordo con il presidente francese Emmanuel Macron e con Merkel, vuole mettere al centro della sua strategia, di sponda con l’Unione, la Nato e l’Onu: portare investimenti, che diano lavoro e sicurezza, e scoraggino le partenze. A Tripoli serve un governo legittimato dal voto e l’Italia confida in un coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica e delle Nazioni Unite per garantire un percorso elettorale in sicurezza. Nel frattempo, Draghi continuerà a insistere sui ricollocamenti, puntando a renderli il più possibile strutturali, ben sapendo che resterà un percorso sbarrato finché i governi europei avranno il timore di alienarsi l’opinione pubblica interna. La soluzione finanziaria, infatti, servirà a mascherare le difficoltà del governo tedesco ad aprire alle quote dei migranti, a tre mesi dalle elezioni nazionali che sanciranno la nuova era post Merkel.

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