Archive for the ‘Economia – Lavoro’ Category

Povero stagista: le spese superano i compensi anche del triplo. Nel resto d’Europa cifre fino a 5 volte più alte

martedì, Maggio 9th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. Grama, davvero grama la vita dello stagista, al punto che spesso non conviene nemmeno accettare un’offerta o scervellarsi per individuare tra le tante quella più interessante. Perché anche nelle città dove i compensi sono più alti, fra affitto e costo dei consumi, le spese per vivere in trasferta inseguendo il proprio sogno professionale possono anche arrivare a più del doppio del compenso mensile. Rendendo praticamente impossibile l’impresa dei tanti giovani, e sono migliaia, che in questo modo cercano di imparare in concreto un mestiere nella speranza poi di trovare più facilmente un’occupazione.

Il caso più eclatante è quello di Milano, la città italiana dove tra l’altro è da sempre più alto il numero delle posizione aperte: a fronte di uno stipendio medio per gli stage di 669 euro al mese bisogna infatti mettere in conto in media 1.299 euro per l’affitto – a riprova che sotto la Madonnina questa voce ha costi esorbitanti – e 207 euro di spese per consumi. Il totale fa 1.506 euro con uno squilibrio entrate/uscite che sfiora gli 840 euro pari al 125% del compenso. Lo stesso vale per Roma dove pure lo stipendio medio è più alto (792 euro al mese) ma dove il totale delle spese arriva a quota 1.204 euro con uno squilibrio di 412 euro (+52%). Più contenuto, ma sempre in rosso per circa 100 euro, anche lo squilibrio di uno stage a Torino. Al Sud il costo della vita, come è noto, è molto più basso, ma anche le occasioni di stage sono certamente minori.

Gli stage, salvo sorprese, come è noto, sono ottimi modi per dare il via alla propria carriera. Ma qual è il posto migliore per cercare uno stage? «Business Name Generator», che fa parte del gruppo di performance marketing Marketzoo, ha analizzato 32 città italiane considerando il numero di opportunità di stage, lo stipendio medio, le attrazioni della città e il costo medio della vita, per determinare la località migliore dove cercare di dare inizio alla propria carriera.

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Latte salato, il prezzo esplode del 20%. Le industrie: “Colpa dello tsunami sui costi”

lunedì, Maggio 8th, 2023

Paolo Baroni

Dopo la pasta, il caro latte. A lanciare l’allarme sono ancora una volta i consumatori che segnalano anche in questo settore un aumento vertiginoso dei prezzi e tornano a chiamare in causa il ministero delle Imprese e del Made in Italy e Mister prezzi. In base all’ultimo dato Istat sull’inflazione, la voce “latte, formaggi e uova”, segnala Assoutenti, registra un aumento medio dei prezzi del 19,6% su base annua, equivalente ad una maggiore spesa per una famiglia di 4 persone pari a 194 euro all’anno.

In dettaglio il latte fresco intero è salito del 18,8%, quello fresco parzialmente scremato del 22,6%, il latte conservato addirittura del 34,6%. E poi ci sono yogurt, formaggi freschi e stagionati, con lo yogurt che ha fatto un balzo del 20%, i formaggi freschi ed i latticini del 26,9% ed i formaggi fusi del 28,9%, solo i formaggi stagionati hanno una dinamica più contenuta mettendo a segno un rialzo dell’8,9%.

Poi c’è un caso particolare, che segnala Assoutenti, quello del pecorino romano come emerge anche dai dati dell’Ismea. I prezzi all’ingrosso di questo prodotto (secondo la Cciaa Milano) ad aprile si attestano su una media di 14,05 euro al chilo, con un incremento del 31% rispetto allo stesso periodo del 2022. Al dettaglio, considerate le principali catene di supermercati operanti in Italia, il prezzo medio rilevato dall’associazione varia tra i 26 e i 29 euro al chilo, ma può superare in alcuni punti vendita i 33 euro. Più bassi i prezzi nei discount (circa 23 euro).

«Il forte aumento dei prezzi di formaggi e latticini è un allarme da non sottovalutare – spiega il presidente di Assoutenti, Furio Truzzi –. Latte, yogurt, mozzarelle e prodotti lattiero-caseari vari sono immancabili sulle tavole degli italiani, e incrementi così forti dei listini al dettaglio inevitabilmente modificano le abitudini delle famiglie, spingendole a rinunciare alla qualità in favore del prezzo, o addirittura costringendole a tagliare i consumi con un effetto domino su tutta la filiera italiana e danni per allevatori e made in Italy». Per questo Truzzi è convinto che sia «necessario accendere un faro sul mercato italiano dei latticini, attraverso l’ausilio del Mimit e di Mister Prezzi, per capire le cause dei rincari dei prezzi che in questo settore che proseguono da oltre un anno e che potrebbero essere alimentati da fenomeni speculativi che nulla hanno a che vedere con i listini delle materie prime e la guerra in Ucraina».

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Lavoro, salari troppo bassi e posti migliori in mano agli anziani: l’Italia è contro i giovani

lunedì, Maggio 8th, 2023

Francesco Spini

Avere meno di 35 anni nel 1985 in Italia voleva dire, in media, guadagnare circa il 20% in meno dei colleghi ultra 55enni. Sono bastati tre decenni per fare precipitare le cose: nel 2019 il divario è in sostanza raddoppiato e ora la differenza “generazionale” dei salari è di circa 40 punti percentuali. La battaglia degli stipendi e delle carriere, in quel rebus che è diventato il mondo del lavoro, ha vincitori e vinti. Giovani di belle speranze che restano intrappolati in organizzazioni dove gli «anziani» occupano i posti migliori, fanno carriera e non lasciano seggiole libere: solo posti in piedi.

La fotografia è impietosa e complicata insieme. A scattarla è uno studio, tuttora in divenire dal titolo “Paesi per vecchi, analisi del divario salariale per età”. Vi hanno lavorato e continuano a farlo due ricercatori: Nicola Bianchi, assistant professor alla Kellogg School of Management della Northwestern University nonché faculty research fellow al National Bureau of Economic Research (Nber) e Matteo Paradisi, assistant professor all’Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza (Eief). È uno dei frutti, nella parte italiana, dell’apertura dei dati dell’Inps inaugurata quando alla presidenza dell’istituto c’era Tito Boeri. Ne è uscito un esame approfondito sul rapporto tra vecchie e nuove generazioni. In un panorama in cui fabbriche e uffici sono invecchiati. Nel 1985 l’età media degli addetti era di 35,8 anni, nel 2019 (anno a cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili) era salita a 42,7 anni, il 19% in più.

Tante le cause: dalle culle vuote (18,1 nascite ogni mille persone nel 1960, 7,3 nel 2018), alla speranza di vita più lunga (da 69,1 a 83,3 anni), fino all’età pensionabile allungata: quanto basta per far cambiare forma alla piramide demografica nelle aziende. E ora la parte ormai maggioritaria dei lavoratori (quella dai 45 anni in più) si mangia la fetta di torta più generosa.

«Pensiamo che la principale ragione della tendenza dei salari sia uno spillover negativo delle carriere. Insomma: i lavoratori più anziani creano congestioni, ingorghi. Tengono le posizioni migliori e non lasciano spazio ai giovani, meno esperti, che devono attendere a lungo per salire nelle gerarchie», dice Nicola Bianchi. Attesa sempre più lunga: se a metà degli Anni 80 un lavoratore over 55 stava nella propria impresa in media per un decennio, nel 2019 ci sta per 15 anni. Difficile dire se questo crei vantaggi o svantaggi per la produttività delle aziende. «Da un certo punto di vista ci sono ricerche che mostrano come ci siano un numero di lavori che richiedono maggior esperienza. Dall’altro l’evoluzione tecnologica richiederebbe competenze più aggiornate».

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Caro mutui, che casa puoi comprare adesso se guadagni almeno 1.500 euro al mese

lunedì, Maggio 8th, 2023

di Gino Pagliuca

La riduzione del potere di acquisto

Con il suo reddito medio un milanese oggi, con un mutuo fisso a 30 anni, può finanziare l’acquisto di 37,2 metri quadrati nella sua città. Un anno fa con la stessa rata riusciva a garantirsi l’acquisto di oltre 51 metri. Una perdita di potere d’acquisto del 27,4%.

Appena un po’ meglio è andata nella Capitale dove dai 41,5 metri di un anno fa si è scesi a 31,3, con un calo del 24,7%. A Torino i metri sono scesi da 71,2 a 54,2 (-26,4%) e infine a Napoli si è passati da 31,7 a 23,6 (-25,6%). Sono i risultati di sintesi di una simulazione che abbiamo compiuto mettendo a confronto redditi, valori immobiliari e andamento dei tassi. Per i conteggi abbiamo considerato il reddito disponibile procapite aggiornato a fine 2021 calcolato dall’istituto Tagliacarne (Unioncamere). I prezzi sono quelli medi richiesti a fine aprile calcolati da immobiliare.it.

Gli scenari: le differenze tra Roma e Milano

Tre gli scenari (qui la simulazione completa per tre famiglie tipo in 8 città): mutuatario con un reddito pari a quello medio, che compra in area medio bassa; reddito pari a 1,5 volte quello medio e acquisto in area residenziale; reddito doppio e acquisto in area di pregio. In tutti i casi abbiamo ipotizzato un mutuo fisso a 30 anni pari al 70% del valore della casa.
Guardando il mercato con quest’ottica si comprende perché i prezzi di Milano, di gran lunga i più alti del Paese, trovino una parziale giustificazione nel fatto che anche i redditi sono molto più elevati.
Tra il capoluogo lombardo e la Capitale ci sono oltre 9.500 euro di differenza di reddito annuo ma il costo medio del centro storico di Milano, nonostante superi i 10 mila euro al metro in relazione al reddito è più sostenibile dei 7.500 circa del centro di Roma perché nel primo caso il mutuo garantisce l’acquisto di 38,6 metri quadrati, nella Capitale ne copre 36,9. E anche nelle zone residenziali la differenza di potere d’acquisto non è molto ampia, il gap sarebbe invece elevato se si considerasse l’estrema periferia milanese con le aree extra Gra della Capitale, dove i prezzi sono molto più bassi.

Leggi anche:
Da Milano a Napoli: i conti in tasca a tre famiglie con mutuo e le migliori offerte con i nuovi tassi del mercato

Napoli, Torino, Palermo, Genova

Quanto alle altre città, Napoli ha prezzi elevati rispetto al reddito medio mentre i capoluoghi con un maggior potere di acquisto sono Torino, Palermo e Genova. Certo, sono calcoli effettuati su valori medi ma rendono l’idea di come l’andamento dei mutui sta cambiando il mercato immobiliare. La prima evidente conseguenza è che la barriera all’ingresso è diventata più alta: il reddito medio di chi chiede il finanziamento è cresciuto, secondo un’analisi di mutuiOnline.it, del 15% in un anno Ma come cambia la sostenibilità di una rata con il variare del reddito? A differenza di quanto avviene con il valore dell’ipoteca regolato dalla legge bancaria (la somma mutuata non si può eccedere l’80% delle garanzie fornite) sul rapporto rata reddito non ci sono regole prefissate. Ogni banca ha i suoi criteri di valutazione e il luogo comune per cui sarebbe sostenibile una rata pari a un terzo del reddito netto (detratti cioè altri debiti, ad esempio le rate per l’auto) può essere giudicato indicativo solo per chi ha introiti medio-alti.

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Bollette, stangata da incubo per gli italiani: in dieci anni aumento di 1.625 euro

domenica, Maggio 7th, 2023

Numeri da capogiro, che rappresentano un incubo per le famiglie italiane. In 10 anni la spesa media annua degli italiani per le tariffe di luce, gas, acqua e rifiuti è salita complessivamente del +68,7% un incremento di spesa pari a 1.625 euro a famiglia, con i prezzi dell’elettricità che, rispetto al 2012, hanno registrato un aumento record del +240%. Lo studio è del Codacons, che ha realizzato un’analisi per capire come sia cambiata la spesa dei cittadini per le utenze domestiche negli ultimi 10 anni. In base ai dati ufficiali, nel 2012 la bolletta media della luce si è attestata a quota 524 euro a famiglia, mentre quella del gas è stata pari a 1.277 euro a nucleo. Nel 2022, e a causa dei continui rincari dei prezzi energetici, la bolletta media per l’elettricità ha raggiunto quota 1.322 euro, mentre per il gas una famiglia ha speso 1.866 euro. 

In 10 anni la spesa per l’energia elettrica è aumentata quindi di quasi 800 euro (+798 euro) mentre quella per il gas di 589 euro, per un totale di +1.387 euro a famiglia. Confrontando il dettaglio delle tariffe, si scopre che quelle della luce hanno segnato un vero e proprio record del +240%, passando dai 19,403 centesimi di euro per kilowattora dell’ultimo trimestre del 2012 ai 66,01 centesimi di euro dell’analogo periodo del 2022. Il Codacons analizza poi l’andamento delle altre utenze domestiche: nel 2012 per le forniture di acqua una famiglia ha spesa in media 310 euro, spesa salita a 487 euro nel 2022 (+57%). La città con le tariffe idriche più elevate è Frosinone, dove una famiglia ha speso in media nell’ultimo anno 880 euro per la bolletta dell’acqua, contro i 175 euro della città più economica, Isernia.

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Giorgetti, la (nuova) linea sulle nomine: entro martedì bisogna decidere sul comandante della Guardia di Finanza

domenica, Maggio 7th, 2023

di Federico Fubini

Giorgetti, la (nuova) linea sulle nomine: entro martedì bisogna decidere sul comandante della Guardia di Finanza

E venne il giorno in cui Giancarlo Giorgetti tirò una riga. Si capirà presto se sia di color rosso cupo la riga del ministro dell’Economia, dunque invalicabile, o in qualche sfumatura di arancione. Ma per ora è lì e ha impedito al generale Andrea De Gennaro, comandante in seconda della Guardia di Finanza, di essere nominato al vertice del suo corpo venerdì. A questo punto il tempo non è molto, per il governo, per evitare una situazione piuttosto imbarazzante. Mercoledì prossimo il comandante generale uscente delle Fiamme Gialle, Giuseppe Zafarana, dev’essere nominato presidente dell’Eni. E poiché Zafarana non può presentarsi all’assemblea della società come figura di vertice di una forza ispettiva, il passaggio di poteri alla Guardia di Finanza è già fissato per dopodomani alle ore 17. Restano al governo una cinquantina di ore. Se per quel momento Giorgetti stesso, il ministro della Difesa Guido Crosetto e la premier Giorgia Meloni non si saranno messi d’accordo su un profilo, il numero due delle Fiamme Gialle De Gennaro diventerebbe comandante generale ad interim in attesa della sua stessa nomina o — circostanza per lui più spiacevole — di quella di un collega.

La linea

Ma, appunto, per ora la linea tirata da Giorgetti resta. Non è né un veto né l’espressione di una riserva sul profilo specifico di De Gennaro: non sarebbe nello stile del ministro né meritato da un alto ufficiale dalla carriera impeccabile. Il ministro tiene a far sapere che con Meloni sta lavorando in armonia. Ma De Gennaro per ora è in una short list — dovrebbe includere tre fra i quattro generali Fabrizio Carrarini, Fabrizio Cuneo, Francesco Greco e Umberto Sirico — che hanno presentato a Meloni i due ministri con diretti poteri in questa materia: Giorgetti stesso e Crosetto. Persone vicine al governo spiegano, in modo caritatevole, che il rinvio delle scelte si spiega solo con l’esigenza della premier di ascoltare tutti i candidati. Alcuni estranei alla Lega, il partito di Giorgetti, sostengono che il ministro dell’Economia un mese fa sarebbe stato d’accordo su De Gennaro, ma da allora avrebbe frenato. Nomine

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IA, i lavori a rischio e i nuovi mestieri

giovedì, Maggio 4th, 2023

Giuditta Mosca

Le Intelligenze artificiali (IA) non ruberanno impieghi, ma sconvolgeranno il mercato del lavoro così come lo conosciamo oggi. Questo aspetto, che ormai appare chiaro e persino banale, è però un discorso a tendere perché non sappiamo dire quando questo scombussolamento – in parte già in atto – si manifesterà in modo dirompente. È però verosimile che, tra posti di lavoro a rischio e nuovi mestieri il saldo potrebbe essere quasi pari, considerazione alla quale giunge anche uno studio curato dall’Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche (Inapp).

Secondo uno studio redatto dall’Università della Pennsylvania (uno tra i tanti), ripreso da vari media, c’è un elenco di professioni destinate a scomparire nei prossimi anni, tra queste figurano i cassieri, i fotografi, scrittori, ma anche matematici, ingegneri e web designer.

Il paradigma da prendere con le pinze

L’assunto da cui parte la ricerca dell’Università della Pennsylvania può essere riassunto così: il 20% dei lavoratori può vedere le proprie funzioni ridimensionate in favore di un’IA e l’80% degli impieghi cambieranno grazie alle Intelligenze artificiali. Al di là delle percentuali, la seconda parte dell’assunto è più realistica della prima. Lo dimostra, ad esempio, un assunto che si diffonde nei corridoi dei reparti di radiologia degli ospedali (soprattutto americani), secondo la quale non varrebbe più la pena formare radiologi perché le IA sono molto più performanti rispetto all’uomo.

Un mito ampiamente sfatato: i radiologi servono ancora (e sono anche sotto stress per il super-lavoro) ma occorre che sappiano lavorare sfruttando le IA, usandole come assistenti. Nessuno è disposto a farsi leggere una diagnosi da una macchina né, tanto meno, si può lasciare libera un’IA di formulare diagnosi senza la supervisione umana.

I nuovi mestieri

Possiamo stilare un elenco dei nuovi mestieri, forse ben più lungo di quello delle professioni a rischio o sul viale del tramonto, ma non potrà mai essere esaustivo.

Partiamo dal presupposto che le IA vanno addestrate, testate, revisionate e aggiornate. Oggi basta scattare una fotografia con lo smartphone per accorgerci che viene etichettata: alla fotografia di un albero viene associata l’etichetta generica “albero”, alla fotografia di uno stadio può essere associata l’etichetta del nome dello stadio stesso (per esempio, San Siro) e alla fotografia di un cane viene associata l’etichetta “animali” o “cane”. Tutto ciò è possibile grazie al lungo lavoro di persone che hanno istruito le IA e, più queste ultime prenderanno piede, più sarà necessario addestrarle e gestirle. Migliaia, se non persino decine di migliaia, di posti di lavoro.

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Il decreto Lavoro intrappola i rider: l’algoritmo delle app resta segreto

giovedì, Maggio 4th, 2023

PAOLO BARONi

Non solo il Decreto dignità, ma anche il Decreto Trasparenza emanato la scorsa estate dal ministro del Lavoro Andrea Orlando finisce nel mirino del governo. Anche questo rivisto profondamente, o se vogliamo smontato. Addirittura, segnala lo stesso Orlando, è stato cancellato il diritto dei rider e di chi in generale lavora per una piattaforma digitale di conoscere le regole dell’algoritmo che regola il loro lavoro. Un principio, che recependo la direttiva europea in materia di informazioni e obblighi di pubblicazione sui rapporti di lavoro, il governo precedente aveva voluto fissare in maniera chiara, stabilendo un diritto di accesso all’algoritmo a favore di chi lavora per una piattaforma. «Questo diritto oggi è stato cancellato dal governo che, dopo tante chiacchiere contro le multinazionali, si schiera dalla parte delle piattaforme digitali e contro i lavoratori» denuncia Orlando. «È una norma tremenda che ci fa tornare indietro anche rispetto alle sentenze sulla trasparenza algoritmica che abbiamo vinto nei confronti delle aziende del food delivery» commenta Tania Scacchetti della segreteria nazionale Cgil.

Da subito, la scorsa estate, il Decreto Trasparenza era stato oggetto di molte critiche da parte delle imprese che avevano lamentato l’eccessiva onerosità delle procedure. E a farsene portavoce, tra i primi, era stata proprio l’attuale ministro del Lavoro Marina Calderone, che all’epoca vestiva i panni di presidente dei Consulenti del lavoro ed aveva criticato senza mezzi termini l’operato di Orlando e l’obbligo per i datori a predisporre per ogni dipendente un «corposissimo documento cartaceo» anziché prevedere più semplici rimandi a norme e contratti. Che è quello a cui punta ora il governo col nuovo Decreto lavoro, puntando a «liberare il datore di lavoro da gravosi obblighi in materia di comunicazioni ai lavoratori», come recita la relazione tecnica al nuovo dl, e dall’altro a rendere disponibili in maniera «più immediata ed agevole possibile» le informazioni ai lavoratori. L’articolo 25 del Dl Lavoro definisce la lista delle informazioni che le imprese sono tenute a comunicare, come la durata del periodo di prova e dei congedi, l’importo iniziale della retribuzione alla programmazione dell’orario di lavoro, le regole sugli straordinari e tutti gli altri dettagli relativi dei singoli rapporti di lavoro. L’obbligo è assolto facendo semplicemente riferimento ai contratti ed ai regolamenti aziendali che possono anche essere pubblicati solamente sul web.

Il testo finale del Decreto lavoro non è ancora disponibile, ma stando alle ultime bozze, un secondo comma estende il dovere di informazione anche ai rider, ovvero ai tanti addetti alle consegne di cibo e bevande a domicilio che operano in Italia. La norma chiarisce che anche in questo campo il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio integralmente automatizzati, a patto però che questi sistemi non siano protetti da segreto industriale o commerciale. Di qui la protesta di Orlando e della Cgil.

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Fed, tassi Usa più alti dello 0,25%: superano il 5%, non succedeva dal 2007

giovedì, Maggio 4th, 2023

di Giuliana Ferraino

I tassi di interesse negli Stati Uniti superano il 5%. Confermando le attese del mercato, la Federal Reserve ha aumentato il costo del denaro dello 0,25%. Si tratta del decimo rialzo consecutivo, che ha portato i Feds funds, cioè i tassi di riferimento, all’intervallo del 5-5,25%, il livello più alto dalla metà del 2007.

Potrebbe essere l’ultimo intervento della banca centrale americana. «Il sostegno al nuovo ritocco è stato molto forte, ci stiamo avvicinando, ma forse ci siamo», ha affermato il presidente della Fed, Jerome Powell, nella consueta conferenza stampa dopo l’annuncio delle decisioni di politica monetaria. Ma sarà «una valutazione continua, riunione per riunione», insiste. Perché il Fomc, il comitato di politica monetaria della Fed «ha deciso un rialzo, ma non ha discusso su una pausa», precisa. Sottolineando, però, il «cambiamento significativo» nella guidance, cioè le linee guida dell’azione della banca centrale. La Fed ha rimosso dalla sua precedente dichiarazione la frase che diceva che potrebbero essere necessari «alcuni ulteriori» rialzi dei tassi. L’ha sostituita con la frase che dice che prenderà in considerazione una serie di fattori per «determinare la misura» in cui potrebbero essere «appropriati futuri rialzi». Da ora in poi, perciò, pe riportare l’inflazione al target del 2%, «il Comitato terrà conto della stretta cumulativa della politica monetaria, dei ritardi con cui la politica monetaria influisce sull’attività economica e sull’inflazione e degli sviluppi economici e finanziari». la decisione

Bce, giovedì previsto un nuovo rialzo: i tassi in area euro verso il 3,75%

di Marco Sabella

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La linea della Bce non cambia: l’aumento dei tassi di interesse va avanti (almeno) fino all’estate

mercoledì, Maggio 3rd, 2023

di Federico Fubini

La linea della Bce non cambia: l'aumento dei tassi di interesse va avanti (almeno) fino all'estate

La presidente della Bce Christine Lagarde

Ancora nei primi mesi dell’anno, nella Banca centrale europea era diffusa l’aspettativa che i tassi sarebbero aumentati di nuovo in maggio e giugno. Ma lo avrebbero fatto più lentamente rispetto ai rialzi a tappe forzate dell’autunno e dell’inverno, per poi fermarsi. Questo almeno è lo scenario che molti dentro e attorno alla Bce consideravano probabile. Non più: ora un percorso del genere, secondo la maggioranza nel Consiglio direttivo di Francoforte, non porta abbastanza lontano e non garantisce di sradicare l’inflazione dall’area euro abbastanza in fretta.

Quando domani presenterà le decisioni del Consiglio direttivo a Francoforte, Christine Lagarde probabilmente darà dunque almeno due messaggi. Il primo sarà molto tangibile: riguarda un nuovo aumento dei tassi d’interesse che, salvo improbabili sorprese, verrà deciso questa settimana e potrebbe essere di 0,25% o anche di 0,50%. Ma il secondo messaggio della presidente della Bce sarà seguito con anche più attenzione. Di fronte a un’inflazione che scende in modo più esitante di quanto molti avessero immaginato, Lagarde farà capire che nella Bce oggi si pensa di continuare ad alzare i tassi anche dopo gli aumenti di questa settimana e del mese prossimo. Difficile che ci siano annunci anticipati. Lagarde non si legherà le mani sulle prossime tappe della stretta monetaria, come fece alla fine dell’anno scorso per le sue mosse fino a marzo. Le indicazioni della presidente saranno più vaghe, ma le attuali intenzioni sono chiare: nella Bce molti vogliono far proseguire la stretta almeno fino all’estate inoltrata; prima dell’autunno prossimo le banche potrebbero pagare interessi di oltre il 4% (contro il 3,5% attuale) per rifinanziarsi allo sportello principale dell’istituto di emissione. È dal luglio del 2008, alla vigilia della Grande crisi finanziaria, che la banca centrale non pratica quel livello.

Ma il contrasto all’inflazione non prenderà solo la forma classica di una serie continuata di aumenti dei tassi. In giugno la Bce potrebbe decidere di rallentare ancora di più i riacquisti dei titoli di Stato comprati fra il 2015 e il 2019, man mano che questi scadono e vengono rimborsati. Per ora la banca centrale sta riducendo di 15 miliardi al mese il suo portafoglio di investimenti accumulati a ritmi anche di 80 miliardi al mese quando Mario Draghi era presidente. L’operazione sta procedendo senza sbalzi e lo spread sui titoli a dieci anni fra Germania e Italia, l’anello più debole della catena dell’euro, è persino sceso negli ultimi sei mesi di stretta monetaria e liquidazione degli investimenti della Bce. Ma tra non molto potrebbe accelerare il passo al quale la banca centrale riduce l’eredità del «quantitative easing» dal suo bilancio. Alcuni esponenti del Consiglio direttivo vorrebbero cessare del tutto i riacquisti, alla scadenza, della carta comprata fino al 2019. C’è chi pensa a fare lo stesso nel 2024 con 1.850 miliardi di interventi varati durante la pandemia.

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