L’ultima lezione di Piero Angela

Con Piero Angela la divulgazione smise di essere una parolaccia. Negli anni d’oro della tv pedagogica, quella che aveva lo scopo di insegnare al pubblico di ogni età, ignorantello e inconsapevole, le prime regole del mondo in ogni campo dello scibile, tutto era divulgazione, anche i Caroselli lo erano (lo spettacolino-predica prima della réclame), anche i romanzi sceneggiati, e i film dei cicli. La scienza, poi, era qualcosa di sussiegoso, dotto e dottorale, un po’ barboso, era «L’approdo», ecco.

Poi i tempi cambiarono, la Rai perse il monopolio, irruppe la concorrenza tra le reti e la tv divenne impositiva: bisognava urlare, o far piangere, per essere seguiti. Non c’era niente da insegnare a nessuno. Anche imparare non era mica bello. La divulgazione diventò improponibile. Si buttarono via tutti gli anni dei pionieri, ma Angela seppe essere l’eccezione. Seppe farsi rispettare spiegando, raccontando, continuando a fare il giornalista. E un po’ anche il musicista, da pianista jazz di razza qual era: come se il mondo, e la vita sulla terra, fosse una grande jam session dove ognuno poteva fare la sua parte.

Il figlio di Piero, Alberto, è diventato un divulgatore di grandissimo successo. Anche grazie alla laurea in Paleontologia e alla smagliante professionalità, però, nessuno mosse mai alcuna accusa di familismo: bella eccezione, in un ambiente non facile come quello Rai. Infine il Cicap, l’associazione per il controllo delle pseudoscienze, che Angela contribuì a fondare nel 1989 e di cui era presidente onorario. Diceva sempre: «Bisogna avere una mente aperta, ma non così aperta che il cervello caschi per terra».

LA STAMPA

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