Vaccini, gli errori dell’Europa

Un po’ tutti eravamo certi che l’Ema, l’agenzia europea per il farmaco, sarebbe arrivata alle stesse conclusioni della Fda, Food and Drug Administration, che ha autorizzato i vari vaccini con un regolare anticipo; anche perché le agenzie non fanno test sulle persone, controllano tabelle che non vanno certo liquidate frettolosamente, ma non possono neppure essere affrontate con la flemma dei tempi di pace. E un po’ tutti, quando l’altro ieri abbiamo saputo che la Fda aveva autorizzato il vaccino Johnson&Johnson (per il quale tra l’altro basta una sola somministrazione), abbiamo pensato che prima o poi ci arriverà pure l’agenzia europea; ma non certo di sabato. Poi c’è lo Sputnik russo. Il direttore dell’agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini, in un’intervista a Margherita De Bac del Corriere assicura che è «ottimo», ma per adottarlo serve una decisione politica. Benissimo. L’Europa è lì proprio per prendere decisioni politiche. Cos’altro aspetta?

Non è solo questione di burocrazia, ma di organizzazione. Un via libera serve a poco, se non c’è una struttura pronta ad agire. L’Italia aveva iniziato la campagna vaccinale meglio di altri Paesi europei, ma è ferma a centomila somministrazioni al giorno. Draghi si propone di triplicarle, e mette in campo la Protezione civile, dopo averne cambiato il capo. E la vaccinazione sarà il primo tema su cui il nuovo governo sarà giudicato.

La soluzione non è esautorare l’Europa. È quella opposta. Fare in modo che l’Europa funzioni meglio, resti unita, sappia far valere la propria forza, imponendo alle aziende farmaceutiche il rispetto degli accordi e la condivisione dei brevetti, per poter produrre i vaccini anche nei vari Paesi. Un anno fa mancavano le mascherine; ora non sappiamo più dove metterle. Tra un anno probabilmente avremo vaccini in abbondanza; ma il momento è adesso. Se riusciremo a immunizzare entro l’autunno tutti coloro che lo desiderano, potremo pensare di ripartire davvero. Altrimenti ci trascineremo l’angoscia e il danno delle chiusure per un altro inverno. Davvero vogliamo questo?

CORRIERE.IT

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