Non è con i brontolii che si cambia l’Italia

Giavazzi prosegue con osservazioni su come bisognerebbe affrontare le questioni della produttività e del debito. Scrive: «Le riforme per accrescere la produttività richiedono quindi da un lato interventi per alleggerire il peso della burocrazia e accelerare i procedimenti giudiziari, dall’altro una riallocazione delle risorse dalle imprese meno produttive (piccole, protette, non integrate, pubbliche) a quelle più produttive». Giustissimo. Ma è in grado il governo di fare queste cose? O forse non ci sono le condizioni, istituzionali e politiche, perché ciò accada? C’è stata la commissione Colao che ha fatto tante proposte, molte delle quali assai utili. Tutte finite, come si sa, nel cestino della carta straccia. Si sono poi tenuti gli «Stati generali» (qualcuno se ne ricorda ancora?). Come la commissione Colao, anche gli Stati generali, se riandate con la mente agli annunci del primo ministro, dovevano servire a dare all’Italia il piano della rinascita. A questo punto tutti i ministeri dovrebbero essere indaffaratissimi, dovrebbero essere impegnati allo spasimo per attuare, in ogni sua parte e dettaglio, il suddetto piano. Invece, non c’è niente di niente. Perché?

Si tratta solo di «incapacità»? Forse l’incapacità c’è ma ci sono soprattutto limiti che dipendono dalla combinazione perversa fra un assetto di governo «acefalo» e le particolari caratteristiche delle forze politiche. Può sembrare strano che io parli di governo acefalo se è un fatto che la pandemia ha concentrato per un certo periodo grandi poteri nelle mani del primo ministro. Ma, come si è visto (vicenda Mes, compromesso «statalista» su Autostrade), i «pieni poteri» di Conte erano limitati alla gestione dell’emergenza pandemica, non si estendevano alle politiche per la ricostruzione economica del Paese. Qui conta soprattutto ciò che pensano e vogliono coloro che guidano i gruppi politici di governo. Questi gruppi, i 5 Stelle ma anche una bella fetta del Pd (quella più affine ai 5 Stelle), non sono purtroppo compatibili né per cultura politica né per interessi elettorali con un progetto di riallocazione in senso produttivo delle risorse, sia quelle esistenti sia quelle che (forse) arriveranno. Ma, si dice, sarà la dura, drammatica, realtà del Paese (crollo della produzione e dell’occupazione) che si imporrà anche a certi recalcitranti governanti. Ciò non pare molto plausibile.

Fare scenari cupi può avere effetti demoralizzanti ma, a volte, aiuta ad innescare reazioni che, con un po’ di fortuna, possono cambiare, in meglio, le carte in tavola. Si può ipotizzare che alcuni facciano il seguente calcolo: proprio in virtù dell’incapacità o della non volontà del governo di fare le cose che vanno fatte per ricostruire il tessuto economico-produttivo, si apriranno, per chi saprà approfittarne, vaste praterie politiche; sarà possibile, pensano costoro, in nome della lotta alla disoccupazione, statalizzare tutto ciò che dell’economia è statalizzabile (con il plauso e l’appoggio di un certo sindacalismo) e sarà anche possibile indebolire ulteriormente la classe media a colpi di patrimoniali: uno scenario, insomma, «venezuelano». Se alcuni fanno questi calcoli (ed è sicuro che alcuni li stanno facendo) la domanda è: quella parte del Pd che non vuole starci, che non apprezza i «venezuelani», come mai si limita solo a brontolare, come mai non batte con forza un pugno sul tavolo, come mai non dà un ultimatum al governo? Quando si deciderà a farlo forse sarà troppo tardi. C’è una voragine da colmare. Altre volte il Paese se l’è vista brutta e si è salvato per il rotto della cuffia. Magari, anche se le condizioni sono assai difficili, ci riusciremo di nuovo.

CORRIERE.IT

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.