Coronavirus annientato dai raggi ultravioletti, studio italiano svela “la giusta dose”

di VALERIA PANZERI

Milano – I ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), in collaborazione con l’Università degli studi di Milano e altri centri di ricerca, hanno depositato due preprint nell’archivio internazionale delle scienze mediche che confermano che i raggi ultravioletti sono in grado di “uccidere” il Covid, grazie al loro potere sterilizzante. Nel primo articolo sono descritte le misure di laboratorio con le quali sono state determinate le soglie e i tempi di esposizione necessari per neutralizzare il virus mediante l’irraggiamento di luce ultravioletta. L’intensità della radiazione solare registrata nei due emisferi durante l’alternanza delle stagioni è stata invece oggetto del secondo studio. I dati, essendo frutto di un lavoro scientifico multidisciplinare sono solidi, il problema, come spesso accade, potrebbe derivare da un’interpretazione distorta o un’informazione poco chiara. 

Sulla questione è intervenuto anche il ministro della Salute Roberto Speranza che ha invitato i cittadini a fare attenzione a certi presidi, come alcune lampade, che vanterebbero poteri sterilizzanti. Quello dei raggi ultravioletti è stato infatti uno dei temi affrontati dal report RAPEX (sistema comunitario di informazione rapida sui prodotti non alimentari) del 10 luglio, accanto alle abituali segnalazioni di mascherine contraffatte e ai gel igienizzanti non sufficientemente concentrati in termini di principi attivi. Come è noto infatti la luce ultravioletta del sole indebolisce il virus e lampade che utilizzano i raggi UV a onda corta vengono citate anche per il loro potere germicida come possibile strumento nella lotta al Covid-19. Tuttavia, sottolinea il Ministero: “non devono essere utilizzate per disinfettare le mani o altre aree della pelle. Le radiazioni UV possono causare irritazione alla pelle e danneggiare gli occhi”.

Abbiamo contattato Nichi D’Amico – presidente dell’Inaf e professore ordinario di Astrofisica presso l’Università di Cagliari – che ci ha spiegato i passaggi più rilevanti di queste due ricerche, nonché il corretto inquadramento di tali informazioni nel contesto dell’emergenza sanitaria. 

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