Non è con i brontolii che si cambia l’Italia
di Angelo Panebianco
C’è sempre, in qualunque situazione sociale complessa, un divario, una forbice, fra ciò che «bisognerebbe» fare per migliorare le cose, ciò che «si può» fare tenendo conto delle risorse umane e materiali disponibili e, infine, ciò che realmente «si fa e si farà» dati gli esistenti vincoli culturali, politici e istituzionali. In Italia, qualunque persona con la testa sulle spalle deve a questo punto essere preoccupatissima. Alla suddetta persona non può sfuggire che in Italia il divario fra questi tre livelli è amplissimo: ci sono voragini che li separano l’uno dall’altro.
Prendo lo spunto da due editoriali apparsi sul Corriere (di Federico Fubini il 14 luglio e di Francesco Giavazzi il 15 luglio). Fubini osserva che mentre il «bla bla» della politica ufficiale sui fondi europei è un fiume in piena, un’ inondazione, non è stato allestito alcun piano (che va presentato alle autorità europee) per spiegare come verranno impiegati quei fondi. Non è stato allestito, benché i tempi stringano, perché la politica non ha ancora la più pallida idea di cosa fare con quel denaro (un monopattino per tutti?). Giavazzi scrive che, benché sia stato giusto, fra marzo e maggio, impiegare le risorse disponibili per fini di protezione sociale, ora occorre «cambiare registro», passare a un diverso uso (in senso produttivo) delle risorse, e in particolare di quelle che verranno dall’Europa. Giavazzi si sofferma dapprima sullo stato critico in cui versa la scuola. Ha ragione e bisognerebbe occuparsene. Se non che il governo della scuola è stato di fatto consegnato ai sindacati ormai da molti decenni. E i sindacati sono interessati alle sanatorie, non si sono mai preoccupati né si preoccuperanno mai della qualità di ciò che viene insegnato, del servizio offerto agli studenti. In materia scolastica questo governo non è più colpevole dei suoi tanti predecessori (di sinistra e di destra). Ma non farà ciò che Giavazzi auspica, non cambierà registro. È, per l’ appunto, il divario fra ciò che bisognerebbe fare e ciò che si fa.
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