Archive for the ‘Economia – Lavoro’ Category

Case green: interventi su 1,8 milioni di edifici. Chi lo deve fare, costi e risparmi

mercoledì, Marzo 15th, 2023

di Milena Gabanelli ed Enrico Marro

Che in Italia e in Europa vi sia la necessità condivisa di migliorare l’efficienza energetica degli edifici e delle abitazioni è un fatto. Da noi, fin dal 2006, la legge 296 ha previsto detrazioni fiscali del 55% della spesa sostenuta per interventi di risparmio energetico nel patrimonio immobiliare. Nel 2013 lo sgravio è stato aumentato fino al 65% (75% sulle parti comuni dei condomini). Ad oggi sono stati 5,5 milioni gli interventi rientranti nell’Ecobonus, per oltre 53 miliardi di investimenti, con un risparmio complessivo che supera i 22.600 gigawattora l’anno, secondo il Rapporto Enea del 2022. I lavori hanno riguardato soprattutto la sostituzione degli infissi, l’installazione di caldaie a condensazione e pompe di calore, le schermature solari.

Gli edifici messi peggio

Con il decreto Rilancio del 2020 il governo Conte ha introdotto il Superbonus del 110% che copre anche gli interventi di riqualificazione energetica, vincolandoli però al miglioramento di almeno due classi. Al 28 febbraio 2023, sempre secondo il monitoraggio Enea, il costo totale a carico dello Stato, fra condomini e edifici unifamiliari, è stato di ben 75,4 miliardi di euro.

Una spesa enorme per l’erario a fronte di un numero di asseverazioni di lavori limitato: poco più di 384 mila finora, pari all’1,1% dei 35 milioni di unità immobiliari residenziali censite in Italia, o al 3,2%, se si considerano gli oltre 12 milioni di edifici. Nonostante tutti questi incentivi, secondo Ance, in Italia circa il 35% degli immobili risulta in classe G, e il 25% in F. Un problema che, in proporzioni diverse, riguarda tutti gli Stati membri.

Cosa dice la direttiva

Su questo scenario interviene la direttiva europea sul miglioramento della prestazione energetica degli edifici. Sulla proposta della commissione Ue è stato approvato dalla competente commissione del Parlamento un testo con numerosi emendamenti che da un lato accelerano i tempi e dall’altro danno più flessibilità agli Stati membri nell’attuazione delle disposizioni. Ieri anche l’aula ha dato l’ok, e nelle prossime settimane partirà il negoziato (Commissione, Parlamento, Consiglio) per arrivare alla direttiva finale. Se venisse approvata definitivamente quest’anno, gli Stati membri avrebbero tempo fino al 2025 per recepirla. Il governo italiano si prepara a dare battaglia perché sostiene che le nuove regole imporrebbero costi insostenibili. «Una patrimoniale europea» tuona il leader della Lega Matteo Salvini. È davvero così?

(…) nelle prossime settimane partirà il negoziato (Commissione, Parlamento, Consiglio) per arrivare alla direttiva finale.

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Ue, 130 eurodeputati chiedono una tassa sugli ultra-ricchi: ecco di cosa si tratta

martedì, Marzo 14th, 2023

Ci sono più di 130 eurodeputati che chiedono la tassa per gli ultra ricchi. Così hanno firmato una petizione su scala internazionale per partecipare alla “transizione ecologica e sociale”. Di che si tratta? Alla guida di questa vera e propria battaglia contro i miliardari europei, ci sono l’europarlamentare francese Aurore Lalucq (Socialisti e Democratici, sinistra) e l’economista Gabriel Zucman. Se ne parla in un articolo pubblicato oggi sul quotidiano Le Monde: «Quello che siamo riusciti a ottenere per le multinazionali, dobbiamo farlo ora per i ricchi» scrivono. L’accordo di riferimento per una tassa globale minima del 15% sulle imprese multinazionali dovrebbe entrare in vigore quest’anno.
La proposta
«La nostra proposta è semplice: introdurre un’imposta progressiva sulla ricchezza degli ultra-ricchi su scala internazionale per ridurre le disuguaglianze e contribuire a finanziare gli investimenti necessari per la transizione ecologica e sociale», hanno spiegato l’eurodeputata e l’economista, esperto di evasione fiscale e tassazione dei redditi elevati. Gli autori accennano all’idea di un’imposta dell’1,5% su patrimoni di almeno 50 milioni di euro, ma affermano che il livello esatto dell’imposta dovrebbe essere deciso “collettivamente e democraticamente».

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La falla nei controlli delle banche Usa: ma non c’è il panico della Lehman Brothers

martedì, Marzo 14th, 2023

di Federico Fubini

Il fuoco è circoscritto, non sedato. E le fonti sotterranee che lo alimentano sono individuate, ma non sono state né raggiunte né tantomeno rimosse. Questa crisi bancaria emersa negli Stati Uniti con il fallimento di Silicon Valley Bank (Svb) non ha il carattere sistemico del disastro partito nel 2007 dai mutui subprime ed estesosi l’anno dopo ai grandi nomi di Wall Street. Non ci sono terribili perdite sul credito come a quei tempi, almeno non ora. Che questa almeno sia l’impressione prevalente lo dimostra il fatto che ieri i principali listini di New York, S&P500 e Nasdaq, si sono mossi in terreno lievemente positivo: non c’è il panico da collasso sistemico e l’America non rivive il crash di Lehman, sicuramente non adesso. Le grandi banche oligopoliste non sono più circondate dal sospetto, da Jp Morgan, a Bank of America, a Citigroup, a Wells Fargo, Goldman Sachs e Morgan Stanley. Questo non sembra un remake del 2008. Eppure il fuoco cova. E né la Federal Reserve né il Tesoro Usa sono ancora riusciti a estirparlo.

Del resto non è difficile capire perché. Soprattutto negli anni di Donald Trump alla Casa Bianca, dal 2017 al 2019, molti vincoli sulle banche regionali americane sono saltati. Non hanno i requisiti sulla liquidità da tenere a disposizione che le banche europee osservano e spesso superano nettamente (per esempio, Monte dei Paschi viaggia al doppio di quanto richiesto, Intesa Sanpaolo a una volta e mezza e anche Unicredit è molto sopra le soglie). Né le banche americane minori hanno una revisione di vigilanza periodica, come in Europa: basta che si auto-valutino e poi scrivano alle autorità. Con questo retroterra e anni di tassi zero che hanno spinto tutti a prendere sempre più rischi, ora che è arrivata la stretta monetaria della Federal Reserve era solo questione di tempo. Le incoerenze sono emerse: Svb aveva bloccato anni fa i depositi dei clienti in titoli pubblici su cui era in perdita; al primo vento di sfiducia, non ha avuto la liquidità per evitare di fallire. Il punto ora è che probabilmente il suo non è un caso isolato, né è sufficiente ciò che hanno fatto domenica sera la Fed e il Tesoro per renderlo tale. l’intervista

Il mercato ieri lo ha detto chiaramente, devastando fino a meno 84% i titoli di First Republic Bank e Western Alliance, fino a meno 80% quello di PacWest Bancorp e trattando in modo appena meno brutale Zions Bancorp, Regions Financial and Charles Schwab. Tutti cercano di annusare dove si trova il prossimo cadavere che cammina. È logico, data l’insufficienza della risposta istituzionale finora. Il Tesoro ha fatto sapere che coprirà tutti i depositi — anche oltre la soglia massima di assicurazione da 250 mila dollari, anche quelli dei miliardari incauti e immeritevoli di un salvataggio — ma solo delle due banche già saltate: Svb e Signature. E la Fed ha aperto uno sportello di prestiti dove finanzia le banche a valore pieno anche contro titoli di Stato il cui prezzo è caduto, così avranno sempre liquidità per i loro clienti. Ma non è una gran prospettiva, se un depositante sa che avrà diritto a tutti i suoi soldi solo dopo che la sua banca è fallita: continuerà a correre a ritirarli prima. E non è una gran prospettiva per una banca rivolgersi allo sportello d’emergenza della Fed («bank term funding program») se sa che sul mercato ciò l’avvolgerà di un alone di sospetto.

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Le borse crollano, e i nostri soldi?

martedì, Marzo 14th, 2023

Borse in rosso e tonfo dei titoli bancari : l’analisi

CorriereTv

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Il fallimento di Silicon Valley Bank spaventa i mercati, le banche partono in rosso

lunedì, Marzo 13th, 2023

MILANO. Occhi puntati questa mattina sull’apertura delle Borse europee dopo il fallimento di Silicon Vally Bank e il timore di un effetto domino su altri istituti Usa. Sulle forti incertezze, le piazze europee hanno aperto in ribasso ma senza grandi scossoni. L’attenzione è adesso spostata sull’apertura di Wall Street nel pomeriggio.

Partenza ancora in ribasso per le borse europee, dopo le perdite della scorsa settimana e con l’ attenzione dei mercati rivolta in particolare sulla riunione della Bce in programma giovedì e sulle tensioni nel sistema finanziario statunitense.

A pochi minuti dall’inizio degli scambi, a Milano il Ftse Mib cede l’1%. Colpito dalle vendite è il comparto bancario dove Bper cede il 3%, Banco Bpm il 2%, Unicredit l’1,8% e Intesa l’1,7%. Tra i tecnologici non fa prezzo Stm, che segna un calo teorico del 2,6%.

Negativi anche l’Ibex 35 di Madrid (-0,9%), il Cac 40 di Parigi (-0,5%), il Ftse 100 di Londra (-0,3%) e il Dax di Francoforte (-0,1%).

Intanto sul Forex il cambio euro/dollaro risale oltre quota 1,07.

Questa notte la Federal Reserve, il Dipartimento al Tesoro e la Federal Deposit Insurance Corporation hanno annunciato che a partire da oggi, tutti clienti di Silicon Valley potranno ritirare i soldi, indipendentemente dall’ammontare. La Federal Reserve mette a disposizione delle banche che dovessero trovarsi in penuria di liquidità, una nuova linea di credito speciale. Interventi sono stati decisi anche per Signature Bank, altra società esposta alle criptovalute che rischiava il crack mentre a First Repubblic Bank è stata messa a disposizione una linea di credito d’emergenza.

Intanto misure di emergenza vengono decisa in gran velocità anche in Europa: il colosso bancario Hsbc, tramite la controllata britannica Hsbc Uk ha annunciato l’acquisto, con effetto immediato, della filiale britannica della banca Usa Silicon Valley Bank, fallita venerdì scorso. L’acquisto avviene al prezzo simbolico di una sterlina. SVB Uk, al 10 marzo aveva impieghi per circa 5,5 miliardi di sterline e depositi per 6,7 miliardi e lo scorso anno ha registrato un utile ante imposte di 88 milioni di sterline.

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Chi ci guadagna con l’Irpef a tre aliquote? Fino a 1.500 euro di risparmi sopra i 50 mila di reddito

venerdì, Marzo 10th, 2023

di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

A metà marzo parte la riforma del Fisco

Nella scorsa legislatura, Draghi aveva ridotto le aliquote Irpef da 5 a 4. Ora, Meloni vuole farle scendere a 3. Ma negli obiettivi del governo questo è un passaggio intermedio perché nel lungo orizzonte continua a stagliarsi la tassa piatta per tutti (con uno step intermedio in cui sarà incrementale per i dipendenti), duale e corretta – hanno spiegato più volte ai detrattori della Flat tax vari esponenti del governo – da una riforma delle detrazioni. Questa diventerebbe necessaria perché, come evidenziato da molti esperti, il rischio è che a uscire avvantaggiato da questa riforma fiscale sia soprattutto il ceto medio, a discapito dei redditi più bassi. Quell’obiettivo però è ancora lontano da raggiungere. Per ora, c’è la riduzione a tre aliquote, che approderà in Consiglio dei ministri con la legge delega già la prossima settimana, come ha confermato il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo. Ma cosa cambierà con i nuovi scaglioni? E quali saranno i primi effetti in busta paga appena la riforma sarà confermata? Due simulazioni su 4 diversi tipi di redditi (ci hanno dato una mano i Consulenti del lavoro) possono aiutarci a capire chi guadagnerà di più da questa ormai imminente riforma.

Lo stato attuale

Premessa. Allo stato attuale, i contribuenti italiani sono divisi in 4 fasce:
* fino a 15 mila euro di reddito (con prelievo Irpef del 23%);
* da 15 mila a 28 mila euro (con prelievo del 25%);
* da 28 mila a 50 mila (con prelievo del 35%);
* sopra i 50 mila euro (con prelievo del 43%).
Per ridurre a tre scaglioni queste quattro fasce sono state fatte più ipotesi. Dove a cambiare sono sempre le percentuali dei primi scaglioni. Tutto dipenderà da quante risorse riuscirà il governo a recuperare dalle tax expenditures, come ha spiegato il viceministro Leo. Intanto, proviamo a elencare le quattro ipotesi più probabili e i loro effetti sulla busta paga.

Ipotesi 3 scaglioni con aliquote al 23%-27%-43%

Tra le ipotesi più accreditate, c’è quella messa a punto dalla Ragioneria di Stato che prevede l’accorpamento del secondo e del terzo scaglione in un’unica fascia che comprenda i redditi tra i 15 mila e i 50 mila euro, da sottoporre a un prelievo del 27% (ma si era parlato anche del 28%). In questa ipotesi, la prima e ultima fascia risulterebbero intoccate. E’ evidente che a beneficiarne sarebbe la fascia attualmente compresa tra i 28 mila e i 50 mila euro perché passerebbe dal prelievo di oggi al 35% a uno del 27% o del 28%, con un risparmio di ben 7-8 punti percentuali. Come si vede in questa tabella, con un’aliquota Irpef al 27% per la nuova fascia da 15 mila a 50 mila euro a essere penalizzati sarebbero i redditi fino a 28 mila euro:
*Reddito di 20 mila euro: oggi versa 4.700 euro di Irpef, ne andrebbe a versare 4.800 e avrebbe un aggravio fiscale di circa 100 euro (+2,13%);
*Reddito di 35 mila euro: oggi versa 9.150 euro, ne andrebbe a pagare 8.850 euro e avrebbe uno sgravio di 300 euro (-3,28%);
*Reddito di 50 mila euro: oggi versa 14.400 euro, ne andrebbe a versare 12.900 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 1.500 euro (-10,42%);
*Per un reddito di 60 mila euro: oggi versa 18.700 euro, ne andrebbe a versare 17.200 euro di Irpef e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 1.500 euro (-8.02%).

Ipotesi 3 scaglioni con aliquote al 23%-33%-43%

Un’altra simulazione fatta da tecnici di via XX Settembre prevede sempre tre soglie reddituali e tre aliquote ma ridisegna sia il primo che il secondo scaglione (vedi tabella). Il primo scaglione di reddito salirebbe a 28 mila euro, ferma restando l’aliquota del 23%, mentre il secondo si applicherebbe sempre fino a 50 mila euro come nella prima ipotesi ma l’aliquota sarebbe del 33%. Nessuna variazione, infine, per il terzo scaglione che rimarrebbe al 43% per i redditi oltre 50 mila euro. Gli effetti dei prelievi in busta paga sarebbero questi:
*Reddito di 20 mila euro: oggi versa 4.700 euro di Irpef, ne andrebbe a versare 4.600 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 100 euro (-2,13%);
*Reddito di 35 mila euro: oggi versa 9.150 euro, ne andrebbe a versare 8.750 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 400 euro (-4,05%);
*Reddito di 50 mila euro: oggi versa 14.400 euro, ne andrebbe a versare 13.700 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 700 euro (-4,86%);
*Reddito di 60 mila euro: oggi versa 18.700 euro, ne andrebbe a versare 18.000 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 700 euro (-3,74%).

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Assegni bancari addio: la rivoluzione di Intesa Sanpaolo partirà a maggio

giovedì, Marzo 9th, 2023

di Stefano Righi

Intesa dice addio agli assegni. I primi correntisti sono già stati avvertiti: «Recesso dalla convenzione di assegno», dice l’oggetto della comunicazione. Da maggio gli assegni che alcune migliaia di correntisti di Intesa Sanpaolo tengono in un cassetto non saranno più utilizzabili e andranno restituiti alla filiale di competenza «alla prima occasione utile». Finisce un mondo, anche se appare necessario un approccio graduale: non tutti i clienti di Intesa hanno famigliarità con l’Internet banking.

La fine di un’epoca

Se è vero che l’assegno ha perso di importanza e viene usato sempre meno, tanto che soprattutto tra i più giovani appare come un oggetto misterioso, è anche vero che il suo pensionamento chiude un’epoca del costume italiano, non solo dell’economia. Senza assegni non ci saranno più i postdatati, singolare forma di finanziamento su cui si è basata l’economia spicciola di questa repubblica, specialmente negli anni esaltanti del Dopoguerra, ma anche in tempi assai più recenti. Garanzie immediate, concesse alla controparte in un affare, evitando leggi, tasse, costi. Un inno alla semplificazione, anche se erano evidenti i rischi per il prenditore. L’Italia evolve e Intesa fa da battistrada. Dopo che le assicurazioni del gruppo hanno sperimentato la settimana lavorativa di quattro giorni, Intesa si è confermata laboratorio di innovazione. Da un lato la settimana scorsa ha revocato il mandato per la rappresentanza sindacale all’Abi al fine di gestire in autonomia la propria partecipazione alla contrattazione, dall’altro annunciando la fine degli assegni ha compiuto un ulteriore passo nella modernità. Addio assegni e spazio ai bonifici elettronici, tanto che per incentivarne l’uso Intesa ha contestualmente azzerato il delta commissionale esistente tra bonifici istantanei e bonifici non istantanei. Un clic e via, il pagamento è effettuato e la controparte ha già i soldi in conto. Senza il rischio di ritrovarsi tra le mani un assegno cabriolet.

Le ragazze al master Aipb
Antonella Massari, segretario generale di Aipb
Antonella Massari, segretario generale di Aipb

Hanno vinto una Borsa di studio che permette loro di frequentare il Master Aipb in Private Banking & Wealth Management, partito il 1° marzo. Una bella soddisfazione per Federica Del Medico, Laura Raimondo, Valentina Carletti Croce e Gessica Tosku, anche perché l’iscrizione al master, che durerà nove mesi, costa 10 mila euro. Un problema che per le quattro vincitrici è stato risolto dalla stessa Aipb, da Fidelity e da BlackRock, che ha voluto addirittura premiare due studentesse. L’obiettivo è favorire l’ingresso delle donne nel mondo finanziario, visto che rappresentano solo il 23 per cento dei consulenti. Sulla base delle evidenze delle prime due edizioni, «più del 90 per cento dei partecipanti del nostro Master trova subito dopo lavoro», ha detto Silva Lepore, direttrice del Master Aipb.

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Ritorna l’Europa del “rigore”. In arrivo una stretta sui conti

giovedì, Marzo 9th, 2023

Gian Maria De Francesco

Tutto come previsto. Nessuna sorpresa positiva. Nessuna indulgenza. Dal 2024 l’Unione europea tornerà a pretendere il rispetto degli impegni di bilancio da parte di ciascun Paese aderente. La situazione dei conti pubblici sarà valutata in riferimento al 2023, ma i governi devono accrescere la loro consapevolezza. Nulla, tuttavia, è scritto sulla pietra e il ventaglio delle possibilità è tutt’altro che ristretto per tre motivi. In primo luogo, la discussione sulla riforma del Patto di Stabilità sta per entrare nel vivo. In seconda istanza, ai Paesi Ue si richiede una politica di bilancio che «dovrà restare agile in futuro». Ultimo ma non meno importante, la flessibilizzazione del regime degli aiuti di Stato inevitabilmente comporterà un aumento delle spese, almeno per chi come la Germania può permettersele.

«In questo momento è vitale mantenere un’ancora di stabilità macroeconomica e finanziaria. Ciò significa garantire finanze pubbliche solide in tutti gli Stati membri dell’Ue», ha detto ieri il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, puntando all’Italia e aggiungendo che nell’Ecofin di martedì prossimo «ci aspettiamo che i ministri delle Finanze siano in grado di convergere sugli elementi chiave del nuovo quadro di governance economica». Il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, come suo solito ha voluto essere rassicurante. Per l’Italia è «un’ottima soluzione» perché le nuove regole rappresentano un «compromesso molto avanzato: c’è una maggiore gradualità nella riduzione del debito» e «c’è un incentivo agli investimenti, che produce ancora maggiore gradualità nella riduzione del debito».

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Conto corrente, tutte le mosse per scegliere: ecco il più conveniente

mercoledì, Marzo 8th, 2023

Dario Murri

Servizio in continua evoluzione, in alcuni casi misura del nostro patrimonio anche per lo Stato (visto che, ai fini della determinazione del nostro ISEE concorre anche la giacenza media annuale sui nostri conti), il conto corrente è un servizio finanziario che permette di gestire la nostra liquidità compiendo delle operazioni di accredito e di addebito del conto.

Chi apre un conto corrente ha la possibilità di effettuare bonifici, addebitare utenze e pagamenti ricorrenti come le bollette, prelevare i soldi dal conto presso lo sportello tramite carta di credito o debito. Per le nuove regole europee studiate a tutela degli utilizzatori di servizi di pagamento, il conto corrente bancario è considerato una tipologia, tra le altre, di conto di pagamento.

Diversamente dai conti correnti, i conti di pagamento, possono essere gestiti anche da operatori diversi dalle banche, come le Poste, gli istituti di moneta elettronica (IMEL) e gli istituti di pagamento (IP). Ogni conto corrente ha un suo codice identificativo o IBAN (International Bank Account Number), che identifica in maniera esclusiva il conto corrente e l’intermediario che lo gestisce, permettendo di rendere agevole ogni transazione finanziaria in ambito nazionale e internazionale.

Quali sono le tipologe di conto corrente

Quando si va a scegliere il conto corrente più adatto per la gestione del proprio denaro, è importante considerare bene per quali finalità verrà utilizzato. Esistono diverse tipologie di conti correnti, che vanno dal conto corrente base (operatività limitata a costo ridotto) ai conti con funzionalità avanzate e costi più elevati. Vediamo le più diffuse e le loro peculiarità.

Conto ordinario: è il cosiddetto conto a consumo, in cui le spese variano a seconda dal numero di operazioni effettuate: più operazioni si fanno, più si spende.

Conto di base: consente un numero limitato di versamenti, prelievi e bonifici ed è gratis per i pensionati che percepiscono fino a 18.000 euro all’anno e per chi ha un ISEE inferiore a 11.600 euro. Chi necessita di più libertà nell’utilizzo del conto può valutare un conto corrente tradizionale, o uno online. I vari prodotti proposti dalle banche variano per il canone richiesto, le commissioni addebitate per le operazioni sul conto e per l’insieme dei servizi inclusi.

Conto corrente a pacchetto, che aggiunge alla normale operatività del conto funzionalità aggiuntive e ad hoc. Una soluzione interessante se si gestiscono molti servizi diversi con la stessa banca (investimenti sul mercato finanziario, assicurazioni, o altro).

Se si vuole risparmiare, si può optare per un conto corrente online, da gestire in autonomia tramite il servizio di home banking. Un conto da aprire e gestire online permette una maggiore flessibilità rispetto a un conto da aprire e gestire allo sportello. Inoltre, in caso di necessità pratiche o emergenze, diverse banche online dispongono di sportelli “fisici”.

Attenzione anche a considerare eventuali limiti al numero di operazioni che possono essere fatte sul conto. Normalmente, nei conti più economici e in quelli a canone zero esiste una soglia fissata dalla banca, superata la quale non è più possibile effettuare operazioni, o vengono addebitati costi extra.

Cosa guardare per scegliere il servzio migliore

Altri fattori importanti da considerare nel valutare i diversi conti correnti sono le condizioni poste dalla banca per accedere a un fido, e se è previsto il rilascio gratuito (o a pagamento) di carte di debito o di credito.

Può convenire anche verificare se la banca permette di aprire un conto corrente con funzione di conto deposito (che non ha strumenti di pagamento, ma ha l’unico scopo di far fruttare interessi elevati sul patrimonio investito) o se prevede versioni più indicate per anziani, giovani o attività professionali.

È comunque sempre utile chiedere più preventivi a diverse banche e confrontare le varie offerte.

Cambiare spesso conto corrente, approfittando delle offerte elaborate di volta in volta dalle banche può servire a risparmiare o ad avere sempre accesso a servizi in linea con le proprie esigenze. Considerate che la spesa per il conto corrente cresce di anno in anno e a pagare di più, spesso, è chi ha aperto il conto da più tempo.

La banca deve fornire l’Indicatore Sintetico di Costo

Usare un comparatore di conti correnti (ce ne sono diversi online) permette di farsi un quadro completo delle diverse proposte sul mercato. È possibile valutare i punti di forza e le caratteristiche distintive di ogni prodotto, così da farsi un’idea della sua effettiva convenienza. Un altro elemento utile per individuare il conto corrente più conveniente per noi è costituito dall’ ISC o Indicatore Sintetico di Costo dei conti correnti che hanno superato la prima fase di selezione. Si tratta di un documento fornito dalla banca che riporta una sintesi dei costi annui del conto, calcolati sulla base di vari piani di utilizzo.

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Reddito, l’Isee punisce il Nord

martedì, Marzo 7th, 2023

Chiara Saraceno

La bozza di riforma del Reddito di cittadinanza che delinea la nuova misura (Mia – Misura di inclusione attiva) che lo sostituirà a fine anno, circolata ieri, presenta alcuni aspetti positivi ma anche diverse criticità. Sicuramente positivo è il fatto che sia stata abbandonata l’idea di lasciare senza sostegno economico coloro che sono ritenuti occupabili, contravvenendo le indicazioni della Raccomandazione europea sul reddito minimo che anche il governo italiano ha approvato a gennaio. Positiva è anche l’attenzione per le politiche attive del lavoro in cui coinvolgere coloro che sono definiti “occupabili”, intendendo non solo l’incrocio di domanda e offerta tramite una piattaforma digitale, ma concrete attività di formazione e consulenza. Non si tratta, per altro, di una novità, stante che ciò avrebbe dovuto avvenire anche con il RdC e se non è avvenuto non è certo per responsabilità dei percettori di RdC, ma di chi avrebbe dovuto offrire e monitorare queste attività, ovvero Centri per l’impego e Anpal. Occorrerà vedere se questa è la volta buona. I segnali non sono del tutto positivi, stante che il governo finora nulla ha fatto perché si potesse dar seguito agli obblighi per i beneficiari che ha introdotto nella legge di bilancio: corsi intensivi di formazione e aggiornamento a partire dal 1° gennaio e corsi per l’acquisizione del titolo dell’obbligo scolastico per i giovani che ne sono privi, all’interno di un accordo (a tutt’oggi non formalizzato) tra ministero del lavoro e ministero dell’istruzione. Le politiche attive del lavoro continuano ad essere il tallone d’Achille delle politiche del lavoro (e dell’assistenza) italiane. Aggiungo che il programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) riguarda solo una frazione dei percettori di RdC tenuti a firmare il patto per il lavoro.

Due grandi criticità che richiedono maggiore attenzione da governo e opposizione riguardano l’abbassamento del tetto Isee che darà accesso alla nuova misura e la divisione della platea dei potenziali beneficiari in due gruppi distinti per quanto riguarda sia gli importi massimi, sia la durata. L’abbassamento dell’Isee escluderà di fatto per lo più famiglie che abitano nelle grandi città, specie nel Centro-Nord, dove redditi e ricchezza medie sono più alti, ma così anche il costo della vita. Sono personalmente contraria a stabilire soglie territorialmente differenziate per l’accesso a politiche pubbliche nazionali, non solo perché è difficile individuare i confini territoriali adeguati, ma anche perché accanto a costi della vita differenziati c’è, purtroppo, molto spesso anche una disponibilità di beni pubblici (scuola, sanità, trasporti) simmetricamente altrettanto differenziati. Ma abbassare così drasticamente la soglia Isee avrà un impatto negativo soprattutto al Nord. Quanto alla divisione dei beneficiari in due platee, sulla base della presenza o meno di minorenni, persone con disabilità, anziani, per quanto riguarda non solo la durata massima (molto più breve per le famiglie senza quelle figure) ma anche l’importo massimo (rispettivamente 500 e 375 euro per una persona sola) non se ne capisce la logica. Se, infatti, si può comprendere, pur senza condividerla, la motivazione della riduzione della durata come forma di stimolo all’attivazione, salvo chiedersi con che cosa vivrà chi, pur avendo fatto tutto quanto richiesto, non trova una occupazione con remunerazione adeguata in tempo utile., la riduzione dell’importo sembra avere una logica puramente punitiva, stante i bisogni non cambiano a livello individuale a seconda che uno abbia o meno un disabile o un minorenne in famiglia. Questi conteranno per la propria quota (e non sembra che per ora si intenda modificare la scala di equivalenza che attualmente penalizza i minorenni e le famiglie con minorenni e numerose). Aggiungo che tra coloro che vivono in famiglie senza minorenni, o disabili, o anziani possono esserci persone che non sono di fatto occupabili in modo adeguato, ad esempio ultracinquantenni con scarsa qualifica molto lontani dal mercato del lavoro. Infine, nella bozza i minorenni che hanno 16 anni e non sono in formazione sono considerati adulti tenuti a partecipare alle politiche attive del lavoro. Siamo sicuri che non sarebbe opportuno rimetterli invece in formazione, o almeno dare loro l’opzione?

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