Bankitalia, dopo Visco è l’ora di Panetta

ILARIO LOMBARDO

Potrebbe non esserci nessuna sfida, nessun rivale, nessuna sorpresa. Tutto secondo copione: Fabio Panetta dovrebbe diventare il prossimo governatore della Banca d’Italia. Questo dicono i pronostici, questo confermano ambienti finanziari, banchieri, politici di opposizione e di governo, collaboratori dei ministri, gran parte della gente che ieri era ad ascoltare le Considerazioni finali di Ignazio Visco. Finali, questa volta, nel vero senso della parola.

L’ultima curva del suo settennato, Visco l’ha affrontata gravato dal peso di dover difendere il buon nome e l’indipendenza di Bankitalia dalle esternazioni degli arditi del nuovo potere meloniano, consiglieri della premier come Giovanbattista Fazzolari che, nelle settimane di accesa diatriba sul contante, arrivò a insinuare che Palazzo Koch fosse al servizio degli interessi privati delle banche. Giorgia Meloni non smentì, anzi. Il rapporto della destra sovranista con la Banca di Via Nazionale non è stato mai dei migliori. Eppure fu proprio a un uomo cresciuto in quei corridoi che la presidente del Consiglio avrebbe voluto affidare il ministero dell’Economia. La partita si chiuse allora, nel giro di totonomi che si consumò agli albori del governo Meloni, quando Panetta, dopo continue insistenze, fece capire che avrebbe preferito restare dov’era e dov’è, cioè nel board della Banca centrale europea, ad aspettare il suo turno, che sarebbe arrivato da lì a qualche mese. E cioè entro il prossimo novembre.

In realtà, si diceva ieri, a margine delle considerazioni di Visco, che la nomina data ormai per certa potrebbe formalizzarsi anche prima, già entro l’estate. Panetta piace a Meloni, e, come spiega un ministro, si è conquistato ancora di più la fiducia della premier e dei suoi fedelissimi quando definì – sempre con garbo – «imprudente» la corsa ad aumentare i tassi della presidente della Bce Christine Lagarde, visto il rischio di compromettere l’economia. A Roma scattò l’applauso, e fu esplicito l’apprezzamento di ministri come Guido Crosetto che, di intervista in intervista, aveva accusato Lagarde di affossare ogni residuo di speranza di ripresa per l’Italia.

Quando il suo nome fu piazzato in cima alla lista dei graditi per il ministero dell’Economia, attorno a Panetta scattò una sorta di cordone di sicurezza. Per motivare il suo «no, grazie», si disse che serviva una sentinella italiana nel comitato esecutivo di Francoforte. Soprattutto in vista del braccio di ferro e dello scontro di idee su come e quanto aumentare il costo del denaro. Ma ora che il percorso di salita dei tassi è ormai quasi al suo massimo, il tema si pone con meno timore. Certo, ci sarà da monitorare e da discutere quanto velocemente andranno fatti scendere i tassi, ma la sensazione è di un’inflazione più gestibile. E poi, l’Italia è già pronta a trattare per il sostituto di Panetta, e il nome che circola con più insistenza è quello di Piero Cipollone, membro del Direttorio e vicedirettore generale di Banca d’Italia, già consigliere economico dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

La destra considera Panetta uno della famiglia, e nel corso di questi mesi ha alimentato una leggenda che in realtà piace poco al banchiere. Chi gli ha parlato riferisce di un atteggiamento molto distaccato e infastidito di fronte alla voglia dei partiti di governo di accreditarlo come uno di loro. Per amore della sua storia, si definisce «un indipendente, al servizio del Paese», senza padrini politici. Un uomo di Bankitalia, certamente. Ed è questa una cifra che, raccogliendo testimonianze interne all’istituto, emerge con forza. Come se il corpaccione di Via Nazionale lo considerasse l’erede naturale di Visco.

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