Il vero covo di Messina Denaro e i complici del boss: le indagini ora

I soldi a Bonafede

L’appartamento — modesto ma ben tenuto, arredato con gusto e pieno di capi firmati, dalle camice alle scarpe ai profumi, che confermano l’attrazione del boss per l’abbigliamento alla moda e una certa eleganza da ostentare — è intestato al vero Bonafede, così come la 164. Ed è emerso che ad acquistarlo al prezzo di circa 20.000 euro, a maggio dell’anno scorso, in coincidenza con l’operazione al fegato nella clinica palermitana, sarebbe stato proprio Bonafede con soldi prelevati dal proprio conto, dove precedentemente aveva versato i contanti consegnatigli da Messina Denaro. Un’altra occasione in cui ha prestato il proprio nome al latitante, ben sapendo chi fosse, per far transitare il denaro del padrino necessario a comprare il suo ultimo rifugio «ufficiale».
 


Le verifiche degli investigatori si estenderanno anche alla banca dove sono avvenuti i versamenti e da dove sono partiti i bonifici, per cercare di capire se non ci siano state complicità anche in quei movimenti finanziari che avrebbero potuto suscitare qualche sospetto. Luppino e il dottor Tummarello, invece, sono indagati per favoreggiamento o procurata inosservanza della pena, e per l’autista ci sarà oggi l’udienza di convalida del fermo ordinato dalla procura dopo l’arresto del boss

Ma il vero obiettivo sono complici di più alto livello. Quelli che hanno consentito al primo ricercato d’Italia di vivere una latitanza quasi alla luce del sole, nell’ultimo anno ma forse anche prima. Per esempio chi, nell’amministrazione comunale o negli uffici pubblici di Campobello, gli ha consentito di ottenere nel 2016 una carta d’identità con il timbro autentico sulla foto di un’altra persona. Nel 2001, quando Provenzano dovette procurarsi un documento falso per andare a operarsi a Marsiglia, utilizzò la complicità del futuro pentito Francesco Campanella, presidente del Consiglio comunale dì Villabate, che fece mettere un sigillo ufficiale sulla foto del ricercato. L’indagine mira a scoprire se a Campobello è accaduto qualcosa di simile. Come pure per la patente utilizzata dal boss.

I telefoni e l’agenda

 Altri indizi per smascherare le relazioni e gli appoggi del latitante potranno venire dall’analisi dei due cellulari utilizzati da Messina Denaro e delle schede telefoniche trovate nell’appartamento. Negli appunti scritti su un’agenda e altri fogli non si parlerebbe di attività riconducibili a Cosa nostra bensì di riflessioni generiche e su vicende personali del boss, come i rapporti piuttosto tesi con la figlia Lorenza, madre di un bambino di un anno e mezzo, il nipote del boss. E gli altri segni trovati sono relativi alla sua sfera privatissima, da un calendario con le immagini di donne nude a profilattici o pillole per aiutare l’attività sessuale.

  Ma anche i rapporti del capomafia con le donne (più d’una, a quanto pare) vengono ora vagliati dai carabinieri, che stanno controllando l’appartamento dove viveva (ristrutturato di recente) sulle pareti e fin dentro i muri alla ricerca di impronte o nascondigli, a caccia di ogni indizio che possa aiutare a ricostruire la vita segreta del boss. Quella privata, ma soprattutto quella del capomafia, che dopo la sua cattura appare più misteriosa di prima.

CORRIERE.IT

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