Favole e miti che riaffermano il valore di ogni vita umana

Tutto ciò è reso possibile dall’effetto-familiarità che il sistema mediatico produce nei confronti dei grandi personaggi pubblici. Nessuna delle persone che si mettono in fila per ore per salutare la salma ha mai incontrato la regina Elisabetta, papa Benedetto o Pelé. Eppure tutti hanno la sensazione di averli conosciuti personalmente. Come fossero persone di famiglia, che ci hanno accompagnato per gran parte della nostra vita. Per questo, le loro morti vengono avvertite come una perdita dolorosa da parte di milioni di individui. Un senso di familiarità così profondo da spingere tanti a voler essere presenti nel momento dell’ultimo saluto. Esserci fisicamente, ed esserci insieme, fianco a fianco con tanti altri. E così sentirsi dentro una comunità immaginaria ma avvertita come vera e vicina. Tenuta insieme dalla profonda ammirazione, e persino dal debito, nei confronti dei personaggi che vengono onorati.

Infine, questi funerali tratteggiano precisamente i caratteri dell’eroe del nostro tempo. Dove il tratto centrale è quello dell’autenticità, canone indiscusso della coscienza contemporanea. La regina Elisabetta amata dal popolo perché è riuscita a reggere non solo la corona dentro le tempeste politiche di mezzo secolo di storia, ma soprattutto la propria vita, ricomponendo le ben più mortifere liti familiari, a cominciare dalla drammatica vicenda di lady Diana. Papa Benedetto, apprezzato certo per la sua raffinatezza di grande teologo, ma amato per quella sua gentilezza che traspariva persino dallo schermo e soprattutto per aver accettato di fare pubblicamente i conti con la propria debolezza, arrivando, con le dimissioni, al punto di rompere uno schema millenario e far così percepire tutto il dramma di un ruolo così delicato come quello del papa di una chiesa universale. E infine P elé, il bambino prodigio che, nato da una famiglia poverissima, raggiunge le vette della celebrità mondiale riuscendo a mantenere quell’equilibrio di vita che invece non ha raggiunto il suo grande amico-rivale Maradona. Una favola magnifica che tocca il cuore di tutti, perché da conto di uno dei grandi sogni del nostro tempo: riuscire a scalare l’intera società facendo leva solo sul proprio talento.

Tre storie diverse, ognuna con le sue specificità. Ciascuna unica e irripetibile, ricca di successi ma anche tormentata da difficoltà. E non priva di fallimenti. E che amiamo proprio perché rimettono al centro l’essere umano, con i suoi punti deboli e le sue capacità. Esattamente ciò che rischia di non essere più riconosciuto nella società ipertecnologica. Nell’ onorare il corpo delle persone da cui prende congedo, la grande partecipazione popolare vuole così riaffermare il valore fragile ma inestimabile della vita di ogni uomo. Perché, al di là di tutto, ciò che conta è la storia particolare — grande o piccola che sia — di ognuno di noi.

Un sentimento rasserenante che serve per lenire la paura latente che la morte comunque ci consegna. Anche se non è sufficiente per scacciare un altro timore che alimenta poi quella punta di invidia verso queste figure salutate dal mondo intero: ci sarà qualcuno che, quando arriverà il momento, si accorgerà della nostra morte o siamo destinati all’oblio e all’insignificanza?

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