Niente fango complottista su chi indaga

Stefano Zurlo

Niente fango complottista su chi indaga

È andato tutto in modo limpido. Sobrio e trasparente. Ma non si sa mai. Speriamo che non torni la stagione dei veleni e dei sospetti. Speriamo che il successo di oggi non sia accompagnato dal solito corteo di retropensieri, meglio se maligni. Speriamo di non sentir rimbombare i nomi degli investigatori che hanno firmato questa operazione come presunti protagonisti di fantomatiche trame oscure. È già successo, ci auguriamo non si ripeta. La memoria corre alla cattura di Totò Riina, trenta anni fa, e alla mancata perquisizione del covo dove alloggiava il capo dei capi di Cosa nostra. Abbiamo passato anni ad ascoltare i nomi del capitano Ultimo e del generale Mori alternativamente come eroi della lotta a Cosa Nostra e poi come oscuri burattinai di trame oblique al di là della linea della legalità. Processi su processi, per il giallo del covo di via Bernini, per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e per la trattativa Stato mafia che hanno alimentato l’industria del pregiudizio e la catena di montaggio del «chissà cosa c’è dietro», ma non hanno portato a nulla. Se non a rendere tutto torbido e confuso. Reati e comportamenti opachi vanno colpiti, ma qui è scattata una sorta di maledizione: fango e capi d’imputazione a grappolo. E poi ancora, una delegittimazione di alcuni tra i più importanti detective del nostro Paese. Pensiamo ai Subranni, ai De Donno e a altri la cui reputazione è stata macchiata e messa in naftalina per un tempo interminabile.

È un destino sfortunato che ha decimato le migliori energie sulla prima linea di questa battaglia difficilissima. E viene l’ulteriore dubbio che si sia alimentato questo gioco al massacro utilizzando trasversalmente qualunque elemento e indagine. Qui il discorso si fa ancora più contorto perché il malfunzionamento della nostra giustizia rende ogni opinione credibile. Resta il fatto che anche l’ex prefetto di Palermo Renato Cortese, artefice della cattura di Bernardo Provenzano, è finito diritto nell’imbuto del caso Shalabayeva e ne è uscito, assolto, solo in appello. Un’altra coincidenza sfortunata, naturalmente. È giunto il momento di voltare pagina: non sprofondiamo di nuovo nella palude del complottismo.

IL GIORNALE

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