Una riforma con troppi scogli

Il primo equilibrio che verrebbe cambiato è appunto quello tra queste due figure: perché è evidente che il Presidente della Repubblica eletto dal popolo e non più dalle Camere riunite avrebbe una forza assai maggiore di quella attuale; e il primo ministro da lui nominato, benché sostenuto dalla fiducia delle Camere, risulterebbe più debole di quanto non sia adesso. Se poi il riequilibrio dei pesi tra il Capo dello Stato e il premier fosse affidato al Parlamento, tramite la sfiducia costruttiva, come previsto da un recente disegno di legge di Fratelli d’Italia, si andrebbe incontro a un vero e proprio pasticcio. Come ha osservato in un suo articolo il vicepresidente emerito della Corte Costituzionale Cheli, il Presidente eletto potrebbe nominare un presidente del consiglio, ma deputati e senatori potrebbero rifiutargli la fiducia ed eleggerne un altro, così che alla fine non si capirebbe più a chi spetta scegliere il capo del governo. Infine non va dimenticato che nel passato recente della Seconda Repubblica, l’epoca dei duelli Prodi-Berlusconi, tra i due aspiranti inquilini, del Quirinale e di Palazzo Chigi, il più forte era il secondo, perché il suo nome appariva sulla scheda elettorale accanto ai simboli dei partiti della coalizione. Un primo tipo di presidenzialismo, sostanzialmente anche se non formalmente, era stato introdotto così.

Detto ciò, non c’è nessuna ragione di principio per rifiutare l’ipotesi presidenzialista. La stessa sinistra, che già si prepara a opporsi, in passato l’aveva condivisa. Resta solo da capire, prima che la proposta sia incardinata in un iter parlamentare, se esistono le condizioni politiche per il dibattito approfondito e le successive riforme che necessita un cambiamento di tale entità. Il Parlamento uscito dal grande esempio di mediocrità appena dato sulla legge di stabilità, in altre parole, dovrebbe offrire una prova opposta di serietà. Con l’aria che tira, sarebbe quanto meno sorprendente.

LA STAMPA

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