Meloni-Conte, flirt sulle riforme

Ilario Lombardo

ROMA. Sono passati 25 anni dalla Bicamerale di Massimo D’Alema e i partiti ci riprovano. Riformare la Costituzione e cambiare l’assetto istituzionale dell’Italia è il grande tabù che ora prova a infrangere Giorgia Meloni, lanciata verso la probabile vittoria alle urne del 25 settembre. Non ci sono accordi, né “patti della crostata”, come quello siglato da D’Alema e Silvio Berlusconi nel lontano 1997, ma segnali lanciati da lontano, piccoli indizi nascosti sotto il diluvio di dichiarazioni giornaliere. Altro non ci potrebbe essere al momento, perché suonerebbe come un assist all’avversario.

Da Fratelli d’Italia hanno notato un atteggiamento poco oppositivo da parte di Giuseppe Conte. E in effetti, andando a sondare dentro il M5S, la percezione dei meloniani trova un certo riscontro. Conte considera la prossima come una potenziale «legislatura costituente». Convinto che, se il Movimento farà un risultato sopra le attese, e avrà una discreta pattuglia di uomini in Parlamento, potrà giocare un ruolo in asse con Meloni, scalzando il Pd che al momento si è detto contrario a convergere su una Bicamerale. Non si parla di inciuci, né di governare assieme. Non ci pensano né l’avvocato, né la presidente di Fdi. Si tratta di un flirt, concentrato sulle riforme, che offrirebbe una sponda a Meloni per dimostrare che erano reali i suoi propositi di non cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza.

Fratelli d’Italia ha proposto luogo e obiettivo: una commissione parlamentare da mettere al lavoro per rendere il sistema politico e istituzionale più stabile. Meloni punta al presidenzialismo, che in realtà sarebbe il semi-presidenzialismo alla francese, quello introdotto da Charles De Gaulle con la Quinta Repubblica. Il segretario del Pd Enrico Letta ha detto di no, nonostante fosse stato proprio il suo partito in passato a formulare la stessa proposta. Conte, invece, si è mantenuto più cauto nelle reazioni. D’altronde, come ricordano diversi deputati del M5S, meno di un anno fa, nel dicembre 2021, proprio ad Atreju, la festa di Fdi animata da Meloni, a domanda diretta l’ex premier non bocciò il presidenzialismo. Disse semplicemente che il momento non permetteva sfide «tanto ambiziose» né di aprire «una fase costituente», e che dunque era meglio limitarsi a lavorare su obiettivi più facili come la sfiducia costruttiva, da sempre un pallino del leader del Movimento (per disinnescare i veti dei piccoli partiti, in sostanza, si dovrebbe proporre una maggioranza alternativa al momento della sfiducia).

Con cinque anni di legislatura nuova di zecca davanti, ora, di tempo e di spazio ce ne sarebbe. Per questo Conte non vuole precludersi nessuna interlocuzione. Ancora quattro giorni fa, la sua risposta sul presidenzialismo non era di chiusura: «Ma da Fdi parlano per suggestioni, senza un modello chiaro – precisava –. Qualsiasi sistema necessita di pesi e contrappesi». Non è il «no» netto di Letta. Una risposta che ha lasciato stupiti i vertici di Fdi.

Giovambattista Fazzolari, senatore e uomo di fiducia di Meloni non crede che dopo il voto, quando le ragioni elettorali svaniranno, il segretario del Pd si siederà al tavolo delle riforme: «Trovo incomprensibile l’atteggiamento di Letta – risponde – Dopo averci accusato di voler cambiare la Costituzione da soli, il centrodestra propone la bicamerale, così da condividere un percorso comune e portare il coinvolgimento al massimo livello, e il Pd che fa? Respinge il dialogo. È la solita arroganza della sinistra. Sarà un caso ma tutte le riforme costituzionali sono state fatte da loro. Magari credono di avere un diritto di natura».

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