Rapoport, l’ombra di Putin dietro allo strano suicidio

Jacopo Iacoboni

I misteri che si addensano attorno all’aggressione di Putin all’Ucraina, e alle operazioni dei servizi segreti russi in Occidente, cominciano a essere tanti. Un attivismo feroce russo si registra contro i paesi baltici, come sembrerebbero indicare le due storie che vi raccontiamo. La prima parte dagli Stati Uniti. Benché inizialmente la polizia americana avesse affermato di non sospettare che dietro la caduta di Dan Rapoport da un attico di un condominio di lusso di Washington, D.C., la notte del 14 agosto, ci fossero elementi di particolare stranezza, quella morte appare invece adesso assai sospetta a diversi servizi occidentali.

Rapoport, imprenditore lettone-americano, era nel suo paese d’origine uno dei più noti critici di Putin. Aveva lavorato in Russia con un fondo d’investimento nella tumultuosa stagione di speranze dei primi Anni novanta, per poi finire nel libro nero putiniano. Come il suo amico Bill Browder, fondatore del fondo Hermitage, e poi uno dei più impegnati attivisti anti-Putin, e autore della campagna per il Magnitsky Act negli Stati Uniti e in Europa. Browder non esita a dare questa lettura: «Penso che le circostanze della sua morte siano estremamente sospette. Ogni volta che qualcuno che ha una visione negativa del regime di Putin muore in modo sospetto, si dovrebbe ipotizzare un gioco scorretto, non escluderlo». Rapoport sosteneva la battaglia di Alexey Navalny. Aveva contatti importanti con l’élite americana, tra l’altro la sua famiglia aveva venduto una mansion di 5,5 milioni di dollari nel 2016, che è poi diventata la casa di Ivanka Trump e Jared Kushner.

Alyona Rapoport, la moglie, non crede minimamente al suicidio: «Faceva progetti e non pensava certo di uccidersi». Persino le modalità con cui la storia è emersa aumentano i sospetti che ci sia una mano dei servizi russi: sul canale Telegram dell’ex direttore di Russian Tattler, già in passato noto per aver diffuso notizie di fonte russa. Come faceva a sapere qualcosa che nessuna polizia aveva ancora divulgato?

Tutto questo avviene mentre l’Fsb dichiara di aver trovato un presunto complice di Natalya Vovk nell’attentato a Darya Dugina: sarebbe il cittadino ucraino Bohdan Petrovych Tsyhanenko. Ma siccome ogni informazione del Fsb è essa stessa una operazione di disinformation, quello che è utile qui è capire dove Mosca voglia puntare il dito: oltre all’Ucraina, l’Estonia. Secondo i servizi di Mosca, Tsyhanebko sarebbe entrato in territorio russo attraverso l’Estonia il 30 luglio 2022, e sarebbe ripartito dalla Russia il giorno prima che l’auto di Dugina saltasse in aria, fornendo «a Vovk targhe e documenti falsi rilasciati a una cittadina kazaka, Yulia Zaiko, e assemblando la bomba insieme a Vovk in un garage preso in affitto nel settore sud-ovest di Mosca».

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