Noi e le alleanze: il valore della linea atlantica

di Angelo Panebianco

Come ha ribadito Mario Draghi al meeting di Rimini, la nostra partecipazione coerente, senza riserve mentali, all’alleanza atlantica, corrisponde sia ai nostri interessi sia ai valori di una maggioranza di italiani che fino ad aggi ha sempre rifiutato le alternative alla democrazia liberale: intendendo per tale quel governo misto che combina la protezione (imperfetta quanto si vuole) dei diritti individuali e gli istituti della rappresentanza.

L’atlantismo, dalla fine della Seconda guerra mondiale, è stato garanzia di pace per i Paesi occidentali e di stabilità democratica. Ha costituito la cornice politico- militare entro la quale si è potuta sviluppare l’integrazione europea e gli abitanti della parte occidentale del Vecchio continente sono stati in grado di lavorare per creare le condizioni del benessere collettivo in Europa. Ma l’atlantismo è una creatura fragile. Esposta a rischi di implosione. Le minacce vengono dall’esterno, dalle potenze autoritarie, e dall’interno, da coloro che in Occidente detestano il modo di vita occidentale, l’economia di mercato, la democrazia. Sul piano esterno l’atlantismo è minacciato dal declino relativo della potenza degli Stati Uniti, dalla ascesa della Cina, dall’imperialismo russo, dall’accresciuto spazio di manovra di medie potenze autoritarie (come Turchia e Iran), insomma da ciò che per molti è l’inevitabile avvento di un mondo multipolare. Con il probabile accrescimento di disordine e di caos che il multipolarismo porta con sé.

Ha ragione Vittorio Emanuele Parsi (sula Rivista di Politica) quando osserva che se alla fine la Russia — complice anche l’indebolimento dell’appoggio europeo agli ucraini — dovesse risultare vincitrice in Ucraina, la Nato probabilmente non sopravviverebbe a lungo alla sconfitta. E la sua fine coinciderebbe con la fine dell’atlantismo.

Ci sono poi le pressioni interne. Chi in Europa è spaventato di fronte alla perdurante presa di Trump sul partito repubblicano, teme gli effetti che la corrosione della democrazia americana avrebbe per le democrazie europee. Anche se, va detto, gli Stati Uniti dispongono comunque di anticorpi sufficientemente forti per resistere, o così si spera, a potenziali involuzioni.

Gli avversari occidentali dell’atlantismo sono di due tipi. Quello più diffuso è anche il più rozzo: sono coloro che esibiscono anti-americanismo e avversione per la democrazia liberale (solo una pseudo-democrazia, dal loro punto di vista). C’è però anche una forma più sottile di anti-atlantismo. Si presenta, apparentemente, come politicamente neutrale, veste i panni del realismo politico e dell’obbiettività scientifica. È la posizione di coloro per i quali stiamo assistendo a uno scontro di potenza fra imperi e l’atlantismo è solo la longa manus dell’impero americano. Costoro non dicono di preferire Russia o Cina. Ma dicono in sostanza che gli imperi pari sono, e a competere sono semplicemente opposti progetti imperiali al servizio degli interessi di ciascuno di essi. Hanno torto quando vedono in azione opposti progetti imperiali? No, non hanno torto. Ma dicono solo una mezza verità. E, detta così, una mezza verità è l’equivalente di una bugia. Perché gli imperi — anche ammesso che si possa definire «impero» tout court l’egemonia internazionale statunitense — pari non sono affatto. Fatte le dovute proporzioni e tenuto conto della differenza fra le situazioni storiche, c’è fra l’America e il suo operare nel mondo da un lato e la Russia e la Cina dall’altro, una distanza equivalente a quella che, nella prima metà del Settecento, Montesquieu riscontrava fra l’impero creato dall’Inghilterra (terra di libertà, secondo il filosofo francese) e l’impero dispotico russo dei suoi tempi.

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