Maurizio Landini: “Tassiamo le rendite finanziarie per aumentare le buste paga”

Le due cose sono legate?
«L’Istat racconta che 3,1 milioni di persone hanno un contratto a termine e 2,5 milioni un part-time involontario. Sono sei milioni che non arrivano a diecimila euro lordi annui. Questa è la realtà».

Dove si trovano i soldi?
«Si trovano dall’aumento della tassazione delle rendite finanziarie; dalla tassazione degli extra profitti andando oltre al 25% – il doppio o anche di più –; penso poi a un contributo di solidarietà straordinario una tantum mirato ad aumentare i salari. Senza escludere anche un possibile scostamento di bilancio».

Le imprese accetteranno?
«Aumentare i salari e le pensioni serve anche per sostenere i consumi e il mercato interno, quindi anche le imprese».

L’Italia non è un Paese che ama guardare lontano.
«Prendiamo l’energia. Non c’è bisogno di attendere l’autunno per capirne le complessità. Non si risolve il caso in qualche mese. La guerra ha mutato gli equilibri geopolitici. Serve un nuovo piano industriale e le aziende del settore dovrebbero seguire un progetto comune. Strategie e sinergie fra le grandi imprese pubbliche per disegnare i prossimi venti o trent’anni. A questo proposito abbiamo bisogno di investire nelle rinnovabili dando vita a filiere che producano pannelli, pale e sistemi eolici in Italia. Abbiamo le tecnologie per creare lavoro e sviluppo. Non c’è solo l’energia, esistono anche in altri settori segnali preoccupanti».

A cosa si riferisce?
«Le telecomunicazioni, ad esempio. Formalmente si unifica la rete, ma al contempo si opera lo smembramento delle attività. Sulle Tlc serve un progetto industriale che unisca tutte le varie attività e non crei sprechi ma sinergie. Dal punto di vista pubblico, considero un esempio positivo il nuovo piano industriale delle ferrovie che per i prossimi dieci anni indica investimenti e crescita dell’occupazione del paese».

Torniamo alla precarietà. È endemica?
«Nasce nel momento in cui si è deciso di competere sulla via bassa. Si sono ridotti gli investimenti in formazione e innovazione. Si sono inventate formule di lavoro che costano poco e aumentano lo sfruttamento di chi le fa. I bassi salari originano da questa logica».

Ma basta ritoccare i salari?
«È la risposta che deve essere immediata. Con questa inflazione, la tredicesima è già andata in fumo per chi ce l’ha. Questa è l’emergenza di quest’anno».

Per Bankitalia c’è il rischio di una spirale salari-inflazione.
«Tutti riconoscono che i salari sono ridotti, devono crescere a partire dall’inflazione reale di cui non sono la causa. Siamo un Paese che ha fondato il futuro sulle basse remunerazioni. Paghiamo quelle scelte: siamo cresciuti poco e stiamo peggio del resto d’Europa».

C’è chi rileva che i salari sono bassi come la produttività.
«Si è puntato su un modello di competitività fondato su salari contenuti, precarietà, appalti, subappalti non regolati. È stato un errore. È questo il modello da cambiare. Abbiamo nel nostro paese lavoratrici e lavoratori unici al mondo, una vera forza su cui investire fatta di impegno, creatività, intelligenza e senso del dovere».

Bonomi dice che le imprese non sono un bancomat.
«Il bancomat finito è quello di lavoratori dipendenti e pensionati, che lavorano e pagano le tasse tutti i mesi. Che pagano anche per chi non lo fa. Quando Bonomi afferma che il reddito di cittadinanza – 580 euro per nucleo – è un problema perché fa concorrenza al lavoro, ammette che gli stipendi sono a un livello inaccettabile».

Probabilmente pensa anche a chi lavora in nero.
«Non esiste il lavoratore in nero. C’è solo chi paga in nero. Sono pronto alla lotta all’illegalità, ma allora le imprese e le associazioni si battano insieme a noi per mettere fuori dal mercato chi paga in nero e sfrutta i lavoratori».

Pare che il governo voglia vedere tutti per parlare di redditi e tasse. Vi hanno chiamato?
«Sino ad ora, no. Se convocati, siamo pronti. Anche per dire che, sulla base delle notizie che circolano, la delega fiscale non è quella che serve al nostro paese».

Che cosa manca?
«La progressività».

Si riparla di modello Ciampi e del patto del 1993 per il lavoro. È un’idea?
«Quel patto era fondato sulla moderazione salaria e serviva per andare in Europa. Ora che ci siamo, dobbiamo aumentare i lari e costruire un’Europa che si batta per la pace e la garantisca. E che trovi nello stato sociale il motore della crescita e renda permanenti strumenti come il Pnrr».

La recessione è inevitabile?
«Mi auguro di no. Si deve impedire che la guerra sia lo strumento “normale” per regolare i contenziosi. Bisogna fermare un conflitto assurdo prodotto dall’inaccettabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. Bisogna organizzare una nuova conferenza internazionale di pace come proposto dal presidente Mattarella. È evidente che oggi evitare la recessione vuol dire battersi per la pace e tracciare un nuovo contesto internazionale in cui l’Europa abbia un ruolo autonomo e cruciale».

Sarà un autunno caldo?
«Il clima è già caldo, ora. Non c’è bisogno di surriscaldarlo oltre. Se non si danno risposte, succederà. Stavolta, a colpire in autunno non sarà non sarà il caldo, ma il freddo. Non possiamo permetterci di aspettare per vedere. L’emergenza è già adesso».

LA STAMPA

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