Ora le dimissioni sono un’ipotesi

Ora, se ci può essere qualche margine di comprensione per i ritardi che da mesi accompagnano la riforma della giustizia, dato che sulla materia il 12 giugno gli elettori saranno chiamati a votare nei referendum che riguardano parte delle leggi da riformare, sulla concorrenza il balletto dei rinvii si trascina senza giustificazione. L’incaglio più grosso riguarda le famose concessioni dei balneari, che dovrebbero essere rimesse all’asta, in applicazione dei principi sottolineati da Bruxelles. A sentire Salvini all’uscita da Palazzo Chigi la soluzione, se non proprio trovata, era stata individuata, riconoscendo un’adeguata valutazione degli investimenti effettuati dagli attuali gestori degli stabilimenti e mettendoli in condizione di affrontare le gare pubbliche con qualche patema in meno; in base a questo l’andamento del ddl in Parlamento avrebbe dovuto essere sbloccato, per arrivare in tempi ragionevoli all’approvazione. Ma naturalmente nulla di tutto ciò è accaduto, e a sorpresa ieri i capigruppo di Lega e Forza Italia al Senato, con una nota comune, hanno negato che ci fossero le condizioni di un accordo. Per di più Salvini sulle armi all’Ucraina è stato molto più duro di quanto aveva promesso ed è arrivato a chiedere una «conferenza di pace», senza specificare quando, dove e con quali invitati, visto che non ne ha certo verificato la disponibilità.

Insomma, una presa in giro. Che Draghi non ha affatto gradito, convocando con urgenza il consiglio dei ministri. Stavolta, ha spiegato davanti ai membri del governo, silenziosi e allarmati dalla sua iniziativa, non c’è alternativa all’approvazione della legge, se necessario con la fiducia, entro la fine di maggio. Se non avviene, non finirà come il 29 marzo, quando, dopo il «no» di Conte all’aumento delle spese militari, si recò al Quirinale per consigliarsi con il Presidente della Repubblica, e insieme cercarono la strada per una ricomposizione. Se la riforma della concorrenza non sarà approvata, Il presidente del consiglio salirà al Colle per dimettersi e far calare il sipario su una commedia giunta al suo epilogo. 

LA STAMPA

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