Ora le dimissioni sono un’ipotesi

Marcello Sorgi

Al di là dell’andamento soporifero del dibattito al Senato e alla Camera (o forse proprio per quello), l’improvvisa drammatizzazione imposta da Draghi al confronto con la sua maggioranza, con la convocazione “urgente” ieri pomeriggio del consiglio dei ministri, ha rimesso in primo piano una questione che si trascina da mesi, ormai. E cioè: fino a che punto il governo può andare avanti se su riforme nevralgiche, come quelle della concorrenza e della giustizia, pregiudiziali per l’avvio del Pnrr e per la concessione dei 209 miliardi assegnati da Bruxelles all’Italia, una parte consistente della coalizione di unità nazionale non marcia? Vale ovviamente per i 5 stelle e la Lega, sebbene i due partiti che all’inizio della legislatura diedero vita all’alleanza gialloverde si muovano uno indipendentemente dall’altro e in stretta concorrenza tra loro. Ed anche se i rapporti di Salvini e Conte con Draghi sono diversi, nel senso che il primo dialoga con il premier, mentre il secondo non fa mistero di aver più di una difficoltà personale a rapportarsi con il suo successore. Ma in conclusione il risultato è lo stesso: le riforme, a partire appunto dalla legge delega sulla concorrenza, su cui sono puntati gli occhi degli osservatori di Bruxelles, restano bloccate in Parlamento.

Quattro giorni fa il leader della Lega è andato a trovare Draghi nel suo ufficio e all’uscita – diversamente da Conte che nelle stesse ore accusava il premier di non aver rispetto per il Movimento – ha sparso miele sull’esito dell’incontro, partendo proprio dal problema della concorrenza, per il quale, aveva promesso, una soluzione si sarebbe trovata come per il catasto. Anche sulle forniture di armi all’Ucraina, tema su cui Conte ha messo su una campagna quotidiana, il Capitano era stato più sfumato: come se appunto il suo accordo con il premier fosse stato di tenersi qualche margine di propaganda per non lasciare campo libero ai 5 stelle, senza tuttavia mettere a repentaglio la stabilità del governo, né gli impegni presi da Draghi con Biden nel suo recente faccia a faccia con il Presidente Usa a Washington.

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