Salvini il pacifista agita la maggioranza: no all’allargamento della Nato. Poi attacca sulla pace fiscale

Niccolò Carratelli

Il più pacifista di tutti. Pronto a fare «qualunque cosa per la pace», giura Matteo Salvini davanti alla platea, che lo accoglie alzandosi in piedi sotto la cupola in vetro della Lanterna di Fuksas, affacciata sui tetti del centro di Roma. Circa 200 persone presenti, di più la location non consentiva (e forse è stata scelta anche per questo), per la prima tappa del tour “È l’Italia che vogliamo”: lo slogan ricorda quello del primo Ulivo di Romano Prodi, ma nessuno sembra farci caso. Sono previsti altri appuntamenti in tutte le regioni, il prossimo a Genova il 23 maggio: un percorso di ascolto, per costruire il futuro programma di governo e, in teoria, riavvicinare la Lega ai territori e al suo elettorato perduto. Salvini, in effetti, ascolta, resta seduto quasi 9 ore a seguire dibattiti e interventi su lavoro, giustizia, fisco o energia, «comunque meno di ieri nell’aula bunker del tribunale di Palermo», ironizza l’ex ministro dell’Interno. Quando sale sul podio, per prima cosa se la prende con chi avrebbe mal interpretato le sue parole sull’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia, che «allontana la pace e va messa in lista d’attesa». Dal Pd lo hanno accusato di «fare un assist a Putin» e, allora, ecco la precisazione: «Io ragiono solo in termini di pace, sono due Paesi sovrani e decideranno loro cosa fare – spiega – ma in questo momento dobbiamo fare ciò che riavvicina le parti». Insomma, fosse per lui, rimanderebbe l’adesione. Passa da una citazione di Papa Giovanni XXIII, «cerchiamo ciò che unisce, non ciò che divide», a un attacco diretto al presidente degli Stati Uniti Joe Biden: «Se alla Casa Bianca ci fosse ancora Donald Trump, saremmo in questa stessa situazione?», si domanda con enfasi retorica, mettendo in palese imbarazzo la ministra forzista Mariastella Gelmini, seduta in prima fila, unica esponente politica non leghista della kermesse.

Lui, però, evidentemente la pensa come l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, intervenuto in videocollegamento, per sostenere che «se qualcuno, in passato, avesse portato avanti la politica estera di Biden sarebbe stato messo al rogo». Chissà se Salvini riprenderà questo concetto nel prossimo colloquio con Mario Draghi, che potrebbe avvenire già domani, dopo la richiesta del leader leghista di un confronto sulla strategia italiana rispetto alla guerra in Ucraina. I capigruppo leghisti, Molinari e Romeo, in una pausa sulla terrazza, assicurano che non c’è «nessuna intenzione» di seguire Conte e i 5 stelle che restano in pressing per ottenere un voto in Parlamento sull’invio delle armi a Kiev: «Prima ascoltiamo il premier e poi faremo le valutazioni politiche», è la risposta.

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