Gli errori cinesi

I danni all’economia si vedono. Xi aveva promesso quest’anno un aumento del 5,5% del Pil e il sorpasso sulla velocità di crescita degli Stati Uniti. Il Fondo monetario già taglia di oltre un punto questa previsione. Rispetto alle performance passate della Repubblica Popolare sarebbe un rallentamento inquietante. Gli investitori stranieri hanno smobilitato 30 miliardi di dollari di bond cinesi in due mesi e disertano la Borsa.

Pesa anche la mano pesante usata da Xi contro i suoi colossi digitali: il leader comunista ha voluto imprimere una sterzata a sinistra alla politica economica, ufficialmente per ridurre le diseguaglianze, di sicuro per sottomettere dei capitalisti troppo autonomi. Il dinamismo dell’economia ne risente. Ora Pechino per scongiurare la crisi promette di tornare alla ricetta statalista: un nuovo boom di investimenti pubblici in infrastrutture. Funzionò in passato, al prezzo di creare pericolose bolle speculative nel mercato immobiliare, che oggi trema sotto l’ondata di fallimenti.

La guerra in Ucraina è un danno ulteriore, almeno nel breve periodo. L’inflazione delle materie prime è una tassa pesante per la nazione che è la più grande consumatrice di energia del pianeta. L’economia cinese è stretta fra costi di produzione che salgono, fabbriche chiuse per lockdown, mercati di sbocco che si restringono per il rallentamento mondiale della crescita.

Xi non aveva in mente questo scenario, quando il 4 febbraio scorso ricevette Putin a Pechino, ne cantò le lodi, proclamò un’alleanza sempre più stretta fra le due nazioni. Appena l’aggressione ebbe inizio la diplomazia cinese fece propria la teoria dell’accerchiamento: tutta colpa della Nato. Per tutelare gli interessi di Pechino, Xi avrebbe fatto meglio a usare il suo ascendente su Putin per dissuaderlo dall’attacco militare.

Certo nel lungo termine una Russia sempre più debole è destinata a diventare una colonia della Cina, che potrà usarne le risorse minerarie ed energetiche. Il guadagno compensa i costi che Pechino rischia di pagare nei suoi rapporti con l’Occidente? Le grandi aziende cinesi si stanno barcamenando per sfruttare le opportunità di business con la Russia, senza però incappare nelle sanzioni occidentali. Alcune ci riescono. Altre hanno preferito battere in ritirata e chiudere le filiali russe, pur di non mettere a repentaglio l’accesso al ben più ricco mercato degli Stati Uniti e dell’Europa.

Ancora di recente il leader cinese ha rilanciato il tentativo di scavare divisioni tra Bruxelles e Washington: con frasi come «evitate la mentalità da guerra fredda» e nuove allusioni al ruolo negativo della Nato, ha invitato l’Unione europea a dissociarsi da Biden. Per adesso l’unica cosa che incassa è un’ulteriore diffidenza europea nei suoi confronti.

Una recente indagine della Camera di commercio europea in Cina rivela che molte aziende presenti su quel mercato stanno pensando a ridimensionare la propria attività. Non giova presso i governi e le opinioni pubbliche europee, un gesto come l’arresto del cardinale cattolico di Hong Kong (poi rilasciato su cauzione). Se il regime comunista è intenzionato a costruirsi un «soft power», un’influenza internazionale fondata anche sulla capacità di seduzione, Xi è un corteggiatore maldestro.

Su un altro fronte Taiwan studia la lezione dell’Ucraina. L’isola che Xi minaccia di annettere alla Repubblica Popolare è in procinto di comprare nuove armi americane scelte su misura per una «strategia del porcospino»: arsenali studiati per rendere molto indigesta la preda all’aggressore.

Poiché Xi proclama in modo esplicito l’intenzione di sanare quella che ai suoi occhi è l’anomalia di Taiwan (provincia ribelle nel linguaggio della propaganda, ma anche unica democrazia cinese), pure qui la scelta di assecondare Putin rischia di complicare i suoi piani. Perfino l’avvicinamento di Finlandia e Svezia alla Nato è una brutta notizia per Xi visto il recente interesse dell’alleanza per l’Indo-Pacifico.

Se non bastassero quelli di Mosca, gli errori commessi a Pechino dovrebbero insegnarci a non prendere per buona la narrazione degli autocrati sulla loro infallibilità.

CORRIERE.IT

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.