Si muore di clima ma pure di povertà

di   Danilo Taino |

Forse si sta un po’ precisando il famoso «bla bla» su come rispondere al cambiamento del clima. Un numero sempre maggiore di scienziati, di studiosi e di ambientalisti sostiene che il passo più importante da compiere è la lotta alla povertà. Più di una statistica racconta che, in effetti, il miglioramento delle condizioni di vita riduce il numero delle le vittime e i danni provocati dall’innalzamento delle temperature. Our World in Data — la pubblicazione online legata all’università di Oxford — ha messo assieme una serie di dati interessanti sui disastri naturali. Il numero di morti causati nel mondo da siccità, alluvioni, bufere, incendi, frane, attività vulcaniche e terremoti dal 1900 a oggi è calato decisamente. Nel 1900, per esempio, fu 1,27 milioni, nel 1921 i decessi furono 1,20 milioni, 3,72 milioni nel 1931, ancora nel 1966 si contarono 1,56 milioni di morti. Da allora, però, in nessun anno si è superata la cifra di 500 mila, nonostante che il periodo sia quello di maggiore innalzamento delle temperature.

Dal 2012 non si sono mai superati i 30 mila decessi l’anno, in qualche caso meno di diecimila. Tutti i tipi di disastro tendono alla riduzione con l’eccezione dei terremoti che in anni recenti hanno provocato numerose vittime: 228 mila a Sumatra nel 2004 e 316 mila a Haiti nel 2010 (il terremoto più micidiale pare sia stato quello nella provincia cinese di Shaanxi, 830 mila morti nel 1556). In termini di costi dei disastri da eventi legati ai cambiamenti del clima, la compagnia di riassicurazione Munich Re calcola che, dal 1990, la tendenza non sia verso un aumento, semmai verso una leggera riduzione. Già nel caso dei terremoti si nota che quelli più mortali riguardano Paesi poveri, dove le case e le infrastrutture sono meno solide, i sistemi sanitari precari, l’organizzazione della risposta lenta: tra i dieci eventi che hanno provocato più morti, l’unico Paese a economia avanzata è, al decimo posto, il Giappone…ma per un terremoto del 1923.

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