Italia-Francia: la spinta necessaria per l’Unione europea

L’indebolimento dell’America ringalluzzisce coloro che hanno interesse a riempire i vuoti di potere che quell’indebolimento genera. In Occidente registriamo le gravi difficoltà economiche, e la caduta del consenso interno, che sperimentano la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan. Ne deduciamo che ciò renda quegli autocrati meno temibili per noi. Niente di più sbagliato. Le autocrazie sono ancor più pericolose se crescono le loro difficoltà interne. Diventano più avventuriste, compensano i problemi interni con un aumento dell’aggressività esterna. Si tratti, nel caso di Putin, di Africa o di Vicino Oriente, dei territori russofoni dell’Ucraina (Donbass), dell’appoggio all’uso dei migranti in funzione antieuropea da parte del dittatore bielorusso Aljaksandr Lukasenka, del sostegno ai serbi bosniaci e ai loro nuovi propositi aggressivi, o degli attacchi i cibernetici alle democrazie europee. La stessa cosa vale per il presidente turco Erdogan la cui indisponibilità a calmare i propri bollenti spiriti, c’è da temere, si manifesterà presto in Libia a dispetto di noi italiani e francesi. E, fra le minacce alla sicurezza europea , c’è anche la ripresa in atto dell’estremismo islamico galvanizzato dalla «vittoria» di Kabul.

Più si indebolisce l’alleanza occidentale a causa della perdita (relativa) di potenza degli Stati Uniti, più l’Europa è in difficoltà. Riconsideriamo, in questa chiave, il trattato italo-francese da cui siamo partiti. Poiché anche i trattati internazionali non sfuggono alla ferrea regola della politica secondo cui qualunque atto politico, quali che siano gli altri obiettivi, è sempre contro qualcuno, non dovrebbe sfuggire che fra i bersagli c’è anche il «sovranismo europeo», desideroso di indebolire l’Unione europea per come si è realizzata, e che è molto forte in Italia e in Francia. I sovranisti, quanto meno italiani e francesi, sembrano divisi in due categorie: ci sono gli illusi i quali credono che basti un po’ di retorica patriottarda per far rivivere gli Stati nazionali più o meno sovrani del XIX secolo. E ci sono i realisti, i quali pensano che l’indebolimento dell’America crei l’occasione per sostituire un Lord protettore dell’Europa (gli Stati Uniti) con un altro (la Russia) in una prospettiva, sul piano dei valori, schiettamente anti-occidentale.

Ci sono, per quanto riguarda l’Italia, due ottime ragioni a sostegno del trattato con la Francia. Il primo è che, uscita la Gran Bretagna dall’Unione, abbiamo perso un Paese con cui fare gioco di sponda in caso di accordi (che si trascinano dietro altri Paesi) fra Germania e Francia, nel caso in cui tali accordi siano lesivi dei nostri interessi. La seconda ragione è che nessun processo di integrazione sovranazionale può avanzare se non è guidato da un Paese egemone o da un pool di Paesi egemoni. Con il trattato italo-francese ci poniamo nella posizione giusta per fare parte di quel pool.

Tutto però è appeso a un filo. Lasciando da parte il rebus rappresentato dalla politica che sceglierà di fare l’eterogenea coalizione di governo tedesca, nonché l’esito delle prossime elezioni francesi, restano le debolezze dell’Italia. Oggi c’è Draghi con il suo prestigio internazionale. Avremo nel prossimo futuro un governo altrettanto europeista (e atlantista) e altrettanto di prestigio? E magari anche stabile? Dipenderà anche da questo se le tante parole spese sul trattato italo-francese non si riveleranno futili.

CORRIERE.IT

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