Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia: con che programma e classe dirigente si candida a governare l’Italia

Con le elezioni del 2018 i seggi in Parlamento passano da 9 a 50. I deputati eletti sono 32, i senatori 18. Anche qui la destra si affida ad attivisti di lungo corso: il 67,2% proviene dall’Msi, che sale all’81,8% per An. Tra dimissioni e nuovi ingressi oggi il totale è salito a 58 parlamentari. Infatti, nonostante la proposta di legge di Fratelli d’Italia sul vincolo di mandato, il partito ne ha imbarcati dieci da altri schieramenti: 5 provenienti dal M5S, 2 dalla Lega, 2 da Forza Italia e 1 dal Gruppo misto. In compenso, in un Parlamento dove più di un eletto su 5 ha cambiato casacca, FdI l’ha lasciato solo Maria Teresa Baldini, non a caso una ex indipendente del Centrodestra e non una ex missina.

Il marchio di fabbrica: cameratismo e opposizione

Il 22% dei parlamentari FdI sono professionisti della politica, che è la loro unica professione contro il 16% del Parlamento. Reclutati quasi esclusivamente fra gli eletti locali: l’82% di chi è alla Camera e al Senato precedentemente aveva già avuto incarichi amministrativi locali. Le donne sono sotto la media (28% contro il 35%). Il loro voto è compatto (99%), a dimostrazione di una ferrea disciplina interna.

Come cambia l’atteggiamento verso il governo al momento del voto

Sempre all’opposizione, però il comportamento di voto cambia a seconda di governo in governo. Con Draghi è pugno duro nelle dichiarazioni pubbliche, ma FdI è decisamente più accondiscendente al momento di votare in aula i disegni di legge. Quando sono in ballo sicurezza o benefici per i cittadini, come per i Ristori e il Milleproroghe, si astiene. Risultato: 24,7% votano SI, 44,2% astenuti, 31,1% NO. Mentre con il Conte 2 (governo giallo-rosso): 21,3% SI, 20,7% astenuti e 58,1% NO. Con il Conte 1 (e la Lega nella coalizione): 43,7% SI, 37,5% astenuti, 18,9% NO. Questa l’analisi al 31 agosto.

Come fanno opposizione

Il ruolo di opposizione gli eletti di FdI lo svolgono soprattutto attraverso le interrogazioni parlamentari, strumento tipico della destra italiana: 1.879 quelle presentate, il 25% del totale della Camera: una su quattro riguarda l’ordine pubblico (microcriminalità e immigrazione), meno sensibilità sui temi della salute, solo 1 su 10, e ambiente, meno di 1 su 25.

Il programma: il piano nascite

Al di là degli slogan «prima l’Italia e prima gli italiani» e «tutela della nostra identità» vediamo qual è il programma. Uno dei punti-chiave è quello che Meloni definisce «il più imponente piano di sostegno alle famiglie e alla natalità della storia d’Italia». Impegno cruciale visto che il tasso di natalità in Italia è a 1,27 figli per donna contro l’1,86 della Francia e l’1,54 della Germania, e abbiamo un tasso di occupazione delle madri tra i 25-54 anni al 57%, contro quello delle donne senza figli al 72,1%. Ma Fdi come intende attuarlo? Più nidi e scuole d’infanzia è già nel piano di governo. Il Pnrr punta a creare 228 mila nuovi posti entro il 2026 con un investimento di 4,6 miliardi. Meloni vorrebbe estendere l’orario alla chiusura dei negozi, prevedendo anche un’apertura estiva a rotazione. FdI propone poi «la copertura del costo di sostituzione-maternità da parte dello Stato invece di scaricarlo sulle aziende». Il riferimento è al fatto che l’Inps copre l’80% dello stipendio della lavoratrice dipendente che va in maternità, e il resto è a carico delle imprese. Conti alla mano (vedi qui) l’incidenza dei costi a carico del datore di lavoro è meno dell’1%. Ancora: «L’aumento della retribuzione dei congedi parentali, portandola all’80% anche dopo i primi mesi, perché l’attuale 30% diventa proibitivo». Cosa fa il resto d’Europa: dopo la maternità obbligatoria la Francia rimborsa il 13,7% dello stipendio, mentre Germania e Svezia danno percentuali di stipendio più elevate (rispettivamente 65 e 57.4%), però la maternità obbligatoria è di circa tre mesi, contro i nostri 5.

Flat tax

Un altro punto importante del programma è la voce «meno tasse»: «Flat tax da subito al 15% per famiglie e imprese sul reddito incrementale rispetto all’anno precedente e successivamente per l’intero reddito prodotto». Vuol dire introdurre una tassa piatta, ossia uguale per tutti. Inizialmente sul guadagno in più di un anno rispetto all’altro, poi per tutti i redditi fino a 55 mila euro, a partire da una cifra minima, non indicata, sotto la quale non si paga nulla. Oggi fino a 15 mila euro la tassa è del 23%, tra i 15 e i 28 mila del 27%, tra i 28 e i 55 mila del 38%. Sulla flat tax incrementale il rischio sottolineato dagli economisti è quello di spostare più in là nel tempo il pagamento del dovuto. Esempio: anziché dichiarare 100 oggi, 110 l’anno dopo, 120 fra due anni, mi conviene dichiarare 100 oggi, 90 l’anno dopo, e 130 fra due anni. In questo modo pagherò il 15% sulla differenza fra 90 e 130. Anche perché il cliente difficilmente rifiuta una fattura emessa a gennaio per una prestazione avuta tre mesi prima. Mentre le stime dicono che la flat tax sull’intero reddito comporterebbe per le casse dello Stato un minor incasso di almeno 20 miliardi di euro l’anno.

Immigrazione e alleanze Ue

In cima al programma nella lotta all’immigrazione ci sono il blocco navale e il rimpatrio dei clandestini. Era anche nel programma di Matteo Salvini (Lega), ma i fatti hanno dimostrato che è più facile da dire che da fare. Poi l’equa distribuzione dei migranti nei 27 Paesi Ue. Sacrosanta. Infatti ci stanno provando da anni tutti i governi. FdI però il 2 luglio ha firmato la «Carta dei valori» contro un’Europa in cui, secondo i firmatari, c’è il rischio di arrivare «all’annullamento di fatto degli organi costituzionali nazionali, compresi i governi e i parlamenti, ridotti alla funzione di approvare decisioni già prese da altri» (testo integrale qui). Sedici in totale i partiti che l’hanno sottoscritta, tra cui la Lega, tutti definiti sovranisti, populisti e di estrema destra: ci sono quelli al potere in Ungheria e Polonia, il Fidesz di Viktor Orbán e il PiS (Diritto e Giustizia) di Jaroslaw Kaczynski (Polonia), che non vogliono saperne di prendersi immigrati, e nemmeno di autonomia giudiziaria, libertà di stampa, e tutela delle donne dalla violenza. E poi il partito estremista dei Paesi Bassi (JA21), austriaco (Fpoe), danese (Dpp) e finlandese (Vlaams Belang-Interesse fiammingo), e la destra sovranista di Marine Le Pen.

Come si finanzia FdI?

I proventi complessivi del partito sono 4,2 milioni. Nel 2020 la principale fonte di autofinanziamento sono i contributi dei simpatizzanti, ovvero i proventi dal 2xmille che sono stati pari a 2,2 milioni, quasi il doppio rispetto al 2019. Alla voce entrate contribuiscono anche i bonifici volontari dei parlamentari europei e italiani: Giorgia Meloni 12 mila euro, Ignazio La Russa 10.500, Daniela Santanché 9 mila, Raffaele Fitto 9.400, Carlo Fidanza 9.400, Lucrezia Mantovani, figlia dell’ex assessore di Regione Lombardia, 19 mila (il maggior singolo contributo di un parlamentare). Le libere contribuzioni complessivamente ammontano a 801 mila euro da persone fisiche, e a 249 mila da quelle giuridiche. Con il tesseramento sono stati incassati 938mila euro. Sul fronte delle uscite il grosso è andato per campagne elettorali (circa 700 mila euro). Meloni dal 2020 è anche la presidente del gruppo dei conservatori europei che si dichiarano euroscettici: l’Ecr riceve fra gli altri finanziamenti dalle multinazionali del petrolio (18mila euro da Richard Upshall, azionista di maggioranza di varie aziende tra cui il gruppo petrolifero Oes). Mentre la New Direction, fondazione europea amministrata da vari esponenti dell’Ecr, ha incassato 23 mila euro dalla British American Tobacco, uno dei più grandi produttori di sigarette.dataroom@rcs.it

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