Muro contro muro da fine legislatura

Marcello Sorgi

L’affossamento al Senato del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia è piena responsabilità di Salvini e del centrodestra, che lo hanno chiesto e ottenuto con 154 voti contro 131. Ma non solo. L’esito dello scrutinio dimostra che almeno una ventina di senatori (forse di più, dato che anche in Forza Italia sono emerse riserve), nel segreto dell’urna, hanno preferito dissentire, schierandosi contro le indicazioni dei rispettivi partiti. In questo senso, sono lacrime di coccodrillo quelle del centrosinistra, a cominciare dal segretario Letta, che solo adesso, ma non a luglio, si era rassegnato a trattare su possibili emendamenti per allargare il consenso, incerto nell’aula di Palazzo Madama.

In molti riconoscevano, infatti, che il testo presentava incongruenze, come quell’ “identità di genere”, declinata già nel primo articolo e con ricadute in quelli successivi, che poteva prestarsi a equivoci sul “sesso percepito” e sull’attuazione di questo principio fin dalla minore età e nelle scuole. In sostanza, un’assolutamente logica difesa dei diritti di gay, lesbiche e transessuali di fronte a insulti e violenze purtroppo sempre più frequenti nella società civile, si sarebbe potuta ottenere con più accorte e specifiche formulazione e scelta delle parole.

Il Pd, grazie all’aiuto dei 5 stelle, aveva ottenuto l’approvazione alla Camera del disegno di legge Zan nel novembre 2020, ai tempi del Conte 2 e della maggioranza giallorossa, particolarmente forte a Montecitorio. Ma al Senato, dove i numeri erano talmente ballerini da portare, nel gennaio seguente, alla caduta del governo, la situazione per il ddl era subito apparsa più critica. Anche per questo Renzi, che a Montecitorio, insieme con i parlamentari di Italia viva aveva votato “sì”, all’inizio del secondo passaggio del testo aveva proposto di rivederlo, trattando con il centrodestra. Ma Letta, appena nominato segretario del Pd, si era opposto.

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