Cacciari: “I sindaci non contano più nulla e questo voto non è un test nazionale”

Non che il centrosinistra si comporti diversamente. Il manuale Cencelli delle candidature c’è sempre stato nelle coalizioni…
«Il centrosinistra ha il vantaggio delle primarie».

Lei crede? Spesso le primarie sono un campo di battaglia tra correnti e signori delle tessere. Non un bell’esempio, non trova?
«Avranno anche dei difetti ma le primarie sono comunque un modo per verificare il consenso dei candidati, il loro radicamento. E questo mette il centrosinistrra più al riparo dal rischio di proporre ai cittadini candidature inadeguate».

Centrosinistra più compatto?
«Anche il centrosinistra ha le sue divisioni. Una su tutte, quella del rapporto con gli elettori dei 5 Stelle».

La performance dei 5 stelle nelle città non sembra renderli indispensabili…
«Questo è l’errore, sovrapporre il voto amministrativo a quello politico. Nel 2023 o quando si voterà per le politiche la musica cambierà. E il centrosinistra dovrà comunque trovare un accordo con chi, ancora oggi, raccoglie i voti dei grillini. Poi anche quel movimento è diviso: Conte da una parte, Grillo e Casaleggio dall’altra. Al momento non mi sembra per niente facile ipotizzare un’intesa».

A Napoli e Bologna l’alleanza ha funzionato. Come mai?
«A Napoli ha funzionato perché è stato proposto un candidato eccellente in grado di unire. Ma non è sempre così. A Roma pensare di convincere uno che al primo turno ha votato la Raggi a sostenere Gualtieri è praticamente impossibile: piuttosto il giorno del ballottaggio va al mare o vota direttamente Michetti. In quella città Pd e 5 Stelle se ne sono dette di tutti i colori per cinque anni. Come a Torino. Non è immaginabile pensare che da un momento all’altro i combattenti cambino idea».

Lei a Roma per chi avrebbe votato?
«Avrei votato Gualtieri. Ma devo subito aggiungere che a Roma il Pd ha sbagliato candidato: se avesse scelto Calenda, che ha avuto un risultato molto significativo, sarebbe andato ampiamente in testa già al primo turno».

Partiti e coalizioni divise, candidati sbagliati. Che cosa succede alla politica italiana? Mancano figure di spicco in grado di tenere unite le alleanze?
«Mancano in generale. Ma mancano soprattutto al centrodestra. Perché il centrosinistra ha personalità in grado di fare da collante. E in ogni caso di presentarsi all’esterno a rappresentare tutti. Ma il centrodestra? Immaginiamo che vinca le elezioni politiche. Chi è in grado di rappresentare tutta quella coalizione? Fino a qualche tempo fa c’era Berlusconi. Era un federatore e aveva anche un riconoscimento internazionale. Ma se vince il centrodestra chi mandiamo a trattare in Europa per conto dell’Italia? Salvini? Meloni?».
È importante?
«È decisivo. Basta vedere come è cambiato il clima intorno al nostro Paese da quando c’è Draghi alla presidenza del Consiglio. Dobbiamo metterci in testa che non siamo isolati. Siamo una provincia di imperi infinitamente più grandi di noi. Dobbiamo avere a rappresentarci personalità ammanigliate con tutti i poteri del mondo. Il federatore del centrodestra deve saper tenere insieme quella coalizione (e oggi non è facile) e al tempo stesso saper trattare a livello internazionale. Auguri».

Siamo una piccola provincia. Siamo una democrazia a responsabilità limitata?
«In un certo senso si».

Forse è un bene..
«Forse. Basta che ne discutiamo e ce lo diciamo chiaramente. E decidiamo tutti insieme che cosa intendiamo per democrazia. Ma questa discussione oggi non si fa».

LA STAMPA

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