Draghi al carcere di Santa Maria Capua Vetere, gesto simbolico che sottolinea l’esigenza di scelte rapide

di Massimo Franco

Ribadita l’esigenza della riforma della giustizia: una legge chiesta anche dalla Commissione europea come condizione per concedere gli aiuti del Piano per la ripresa. Segnali di boicottaggio da parte dei 5 Stelle

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La visita del premier Mario Draghi e della Guardasigilli Marta Cartabia al carcere di Santa Maria Capua Vetere ha avuto un valore altamente simbolico, dopo le violenze e le umiliazioni subite dai detenuti. Ma il segnale non si è limitato a quella pagina vergognosa. Una presenza così autorevole e inedita è servita a ribadire l’esigenza della riforma della giustizia: una legge chiesta anche dalla Commissione europea come condizione per concedere gli aiuti del Piano per la ripresa. Va dunque letta come un messaggio rivolto a quella parte della maggioranza di governo che su questo continua a porre veti e a lanciare avvertimenti: in prima fila il Movimento Cinque Stelle .

Si tratta di una questione tanto più spinosa perché fa emergere una gestione del ministero negli anni del grillino Alfonso Bonafede, che come minimo solleva qualche domanda. Il fatto che dopo la presentazione della riforma in Consiglio dei ministri, dai Cinque Stelle arrivino segnali di boicottaggio in Parlamento, pone una questione di coerenza. Ma non di Palazzo Chigi, quanto del Movimento. Prima ha avallato con i suoi ministri le modifiche al testo. Poi l’ha contestato con l’ ala giustizialista che fa capo al leader, ancora solo in pectore, Giuseppe Conte: un attacco così prevedibile da diventare stucchevole; oltre tutto con la minaccia velata di un’astensione sulla riforma.

Non si capisce dove possa portare una strategia del genere, se non a una spaccatura ulteriore del M5S: magari con la speranza inconfessabile di una crisi di governo in pieno agosto. Ma usare le norme controverse di Bonafede come totem per ritrovare un simulacro di unità del Movimento è un’operazione spregiudicata quanto miope. Mostra solo la regressione della forza di maggioranza relativa, orfana della presidenza del Consiglio e incapace di ritrovare lucidità politica. La prima conseguenza è di incrinare il rapporto col Pd, che sulla giustizia ha abbracciato la linea del premier.

Con Lega e FI, il partito di Enrico Letta chiede che si faccia presto: non si dovrebbe andare oltre il 23 luglio. M5S e FdI, che però è all’opposizione, chiedono invece tempi più lunghi. Matteo Salvini rivendica la «totale condivisione» dell’agenda Draghi. E avverte:«Chiunque si metterà di traverso sulle riforme, che sia Conte, Grillo o qualche corrente del Pd, avrà nella Lega un avversario». L’insistenza con la quale Salvini rivendica la sintonia con Draghi sa un po’ di forzatura. Vela tra l’altro una scelta referendaria sulla giustizia che può confliggere con il percorso della riforma Cartabia.

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