Ma il pallone non ci salverà

Carlo Cottarelli

Vista la mia nota passione per il calcio, quello azzurro (oltre che quello neroazzurro; nessuno è perfetto), forse qualcuno si stupirà se dico che sarebbe meglio moderare gli entusiasmi riguardo gli effetti taumaturgici sull’economia italiana della nostra vittoria agli Europei. Grande vittoria dopo più di mezzo secolo (avevo 14 anni quando Giacinto Facchetti alzò la coppa nel 1968), vittoria meritata, vittoria di gruppo e di leadership (grazie Mancini, ma anche grazie Oriali e Vialli). Gli allori calcistici rilanciano l’immagine dell’Italia nel mondo e danno morale. Ma non è certo un fattore decisivo nella nostra ripresa economica. Io resto ottimista su quest’ultima. Continuo a credere che la crescita supererà il 5 per cento quest’anno, nonostante il dato, deludente, della produzione industriale a maggio. Detto questo, dobbiamo continuare ad avere un ottimismo del fare. E ci sono tante cose ancora da fare. Tre sono particolarmente importanti.

La prima è la continuazione della campagna vaccinale. La campagna va bene, a ritmi sopra il mezzo milione al giorno, ma le prime dosi stanno rallentando. Questo può essere dovuto a vari fattori (compresa la limitata disponibilità di vaccini e la necessaria priorità data alle seconde dosi), ma potrebbe riflettere anche la difficoltà di attirare i tanti che restano ancora alla finestra e che, tanto per andare sul sicuro, non si vaccinano. Beh, non vanno sul sicuro, soprattutto alla luce della diffusione della variante delta. Nulla sarebbe più devastante per la nostra economia di una forte ripresa dei contagi e delle chiusure nei prossimi mesi. Il virus va ridotto ai minimi termini, anche per evitare che la sua persistenza, in Italia e altrove, generi nuove pericolose varianti. La scelta del governo inglese di riaprire tutto nonostante i quasi quarantamila contagi al giorno è sbagliata. Fa bene invece la Francia a introdurre vantaggi per chi si è vaccinato. Dovremmo fare così anche noi e presto. Certi vaccini sono sempre stati obbligatori (vedi polio). Non diventeremo certo uno stato orwelliano, come qualcuno ha detto, se diamo qualche vantaggio a chi è vaccinato e quindi non rischia di contagiare gli altri.

La seconda priorità riguarda la riforma della giustizia. Il buon senso dovrebbe essere sufficiente a dirci che un paese dove i processi sono drammaticamente lenti è un paese dove la certezza del diritto viene a mancare: e la certezza del diritto è fondamentale in economia. Ma non è solo il buon senso a dircelo.

Da anni i sondaggi delle imprese ci confermano che la lentezza dei processi è una delle principali cause del basso livello degli investimenti privati nel nostro paese. Qualche progresso è stato compiuto negli ultimi anni. I dati CEPEJ indicano che la durata media dei processi civili che arrivano in corte di Cassazione (probabilmente i più importanti) si è ridotta da 8 anni a 7 anni e tre mesi tra il 2016 e il 2018. Ma si tratta di durate che restano drammaticamente eccessive (in Germania la durata media è di 2 anni e 4 mesi; in Francia e Spagna siamo sui tre anni e mezzo). E non è solo una questione di giustizia civile. La lentezza dei processi penali non è soltanto dannosa in sé, ma solleva la questione della prescrizione, che sta creando grosse tensioni nel governo. La riforma Cartabia non è certo perfetta (per esempio, non dedica abbastanza attenzione agli aspetti più manageriali della gestione dei tribunali), ma va nella direzione giusta ed è auspicabile che sia approvata al più presto.

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