C’erano una volta adunate e processioni. Il Coronavirus ci ha portato via il pubblico

Canetti, Freud, Le Bon (Gustave, non Simon il pur esperto in sterminate folle di fan impazzite cantante dei Duran Duran): ciascuno di loro ha studiato e dato nomi e sostanza storica, sociale e psicologica ai misteriosissimi meccanismi che trasformano un gruppo di individui in una massa. Le Bon in Psicologia delle folle (1895), individuava nell’agglomerato umano una forza di distruzione priva di una visione d’insieme, indisciplinata. Per Le Bon, studiato da Hitler, Stalin, Mussolini, è la massa l’inconscio collettivo attraverso il quale l’individuo si sente deresponsabilizzato e viene privato dell’autocontrollo. Anch’egli studioso di Le Bon, ma ovviamente contaminato dalla propria elaborazione della teoria degli istinti, Freud riteneva invece che le masse siano tenute insieme da legami libidici: ogni individuo nella massa agisce sugli impulsi d’amore (libido) che vengono deviati dai loro obiettivi iniziali (l’unione sessuale), per il raggiungimento di altri scopi, tra cui l’unione sociale. Prevedeva quanto sarebbe successo nei live di Lou Reed e Bowie, Prince e Springsteen? Prevedeva il sentimento – non già la violenza – che avrebbe fatto scendere in piazza milioni di studenti, operai, attivisti, dal ’68 in poi?

Diventare la squama di un serpentone di un corteo che invade rumorosissimo e libero una città, definire noi stessi abbattendo il nostro confine e mescolandoci all’altro, pulsare insieme agli altri con cori e parole, con una comunicazione e un linguaggio che è “un contatto di pelle contro pelle”: il popolo unito non sarà mai vinto, cantavamo da giovani mille anni fa, il popolo dei ragazzi di adesso pronto a protestare contro la Dad, soli pochi mesi fa – sembra un secolo – si scopriva con emozione collettività e movimento di speranza all’insegna dei Fridays for Future, mano nella mano, dietro centinaia di striscioni.

“Ho conosciuto la felicità, so cos’è, posso parlarne con competenza, e conosco anche la sua fine, ciò che ne deriva di solito”, scrive Houllebecq nel suo ultimo Serotonina, che è dedicato alla fine dell’illusione dell’infinità delle possibilità, anche quelle, secondo lui, riposte nell’impegno e nella mobilitazione politica. “Un solo essere ti manca, e tutto è spopolato. Un solo essere ti manca e tutto è morto, il mondo è morto e sei morto tu stesso”.

Non c’è pubblico ai funerali, ai figli non è concesso salutare i genitori, ai genitori non è concesso salutare i figli, agli amici gli amici. Essere un pubblico significa condividere, e condividere significa mettere in comune con l’altro: annullare o diminuire le differenze, un processo che per molti è connaturato all’essere umano, perché l’essere umano è per sua natura portato a vivere insieme ai suoi simili e vivere con gli altri implica la necessità non già della guerra tra poveri, e dell’odio, ma della condivisione. Dell’amore. “Si impara solamente da coloro che sono in tutto diversi da noi. Si trova la quiete accanto a chi ci è affine”: da soli non siamo nulla, spiega Canetti. “Tutti sopravviveranno, o nessuno”.

QN.NET

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