Ritorna il partito del debito di Stato

di Angelo Panebianco

Nella Francia assolutista di fine Seicento e del Settecento le finanze statali erano dissestate. Per l’eccesso di esenzioni e privilegi concessi dai re. Ma anche perché i creditori prestavano denaro allo Stato con altissimi tassi di interesse. La ragione è che non si fidavano, rischiavano troppo. La restituzione o meno del loro denaro dipendeva dalle decisioni e dagli eventuali capricci del sovrano. Nella potenza rivale della Francia, la Gran Bretagna (dopo la Gloriosa Rivoluzione del 1688-89), le finanze statali erano floride. Una delle ragioni è che i creditori accettavano bassi tassi di interesse. Si fidavano di un potere sovrano vincolato dal Parlamento, che non poteva cambiare carte in tavola e regole del gioco a capriccio. Era pessima la reputazione della Francia, ottima quella della Gran Bretagna. Ne discendevano effetti opposti. Difficile non pensare alla Francia assolutista quando, come è accaduto poche settimane fa, Christopher Hohn, uno dei più influenti gestori dei fondi esteri di investimento, dichiara che non favorirà più investimenti in un’ Italia ormai totalmente inaffidabile, un’Italia che, nella vicenda di Autostrade, si è rimangiata un accordo preso, ha violato quel principio della certezza del diritto in mancanza del quale nessuno può sentirsela di investire i propri soldi. Questo episodio non ha turbato affatto i sonni dei neo-statalisti. Definirei costoro i «keynesiani de’ noantri».

Quella dei neostatalisti è una categoria che, dopo gli anni grami seguiti al crollo della cosiddetta Prima Repubblica — anni in cui la suddetta categoria viveva nascosta, in clandestinità — è tornata a circolare con la stessa arroganza con cui si conduceva ai tempi (ricordate?) dei «boiardi di Stato», quando nell’età ormai degenerata del capitalismo di Stato all’italiana, i sofisticati discorsi sulla bontà della «economia mista» coprivano clientelismo e lottizzazioni, nonché voragini nei bilanci delle imprese pubbliche coperte con i soldi dei contribuenti. A differenza dei keynesiani veri, molti neo-statalisti non hanno mai letto un rigo di John Maynard Keynes. Credono (sbagliando) di ispirarsi all’economista britannico. Soprattutto credono (sbagliando di nuovo) di avere capito una cosa: pensano che sia un progetto economico esaltante «far fare buche» (a spese dello Stato) e poi farle riempire.

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